LUGANO – Quello che rimane, a quasi 24 ore di distanza dall’amichevole tra Svizzera e Qatar, è il gelo. Una sensazione di freddo che ha aggredito le ossa sin da subito, appena entrati a Cornaredo. Perché era freddo, perché giocare alle 19 a metà novembre non è il massimo, ma anche perché entrando pareva di essere a una partita di altre leghe.
Poca gente, tante facce colorate, tante bandiere, ma poca passione. Quasi che avere con sé il vessillo rossocrociato o la croce disegnata sulla faccia fosse un must più che qualcosa di sentito. Certo, il fascino dell’amichevole non era dei migliori, la Svizzera aveva in testa il Belgio, il Qatar voleva vincere, Petkovic forse non aveva le idee chiarissime e ha messo in campo una formazione che in fondo non aveva molto senso, perché non erano riserve, non erano titolari e non era la prova di quella di Lucerna. Però la serata è stata deludente e lo dimostrano i fischi di chi però non si certamente sprecato per incoraggiare i rossocrociati: i cori “Hopp Swiss” sono stati sporadici e non convinti.
Ben altra storia rispetto all’altra partita a Lugano, quella col Giappone, l’ultima prima dei Mondiali. Lì c’erano sorrisi, cori veri, tifo sentito. E pochi giorni dopo la squadra di Petkovic è partita per una competizione che è stata definita da molti come deludente ma che in effetti poteva starci. Uscire con la Svezia non può essere definita una disfatta. Non un trionfo, non una Caporetto.
Lugano si è disaffezionata alla Svizzera, allora? Nel frattempo sono certamente successe diverse cose, tra cui le famose aquile e l’addio a veterani che erano entrati nel cuore di molti. Il caso dell’esultanza di Xhaka e Shaqiri, le infinite polemiche sui giocatori col doppio passaporto hanno fatto più rumore dei risultati. Eppure al nome di Xhaka è partito uno dei rari applausi del pubblico (replicato per il ticinese Gavranovic), Shaqiri è stato acclamato, segno che la classe comunque vince. Poi il brusco addio a Valon Behrami, che per molti ticinesi era un simbolo e un idolo. Questioni che hanno lasciato il segno?
La Federazione sta operando un ricambio generazionale, di certo non lo sta facendo col savoir faire migliore. Quella vista ieri sarà la Svizzera del futuro? Sicuramente non se lo augurano i tifosi, al di là della figuraccia rimediata col Qatar, di una partita affrontata come se fosse un allenamento: volete dire che con un po’ più di mordente e di impegno molti palloni che hanno lambito il palo non potevano essere indirizzati in rete? Perdere da una squadra come quella quatariota di certo fa male, ma probabilmente anche i calciatori in campo non hanno entusiasmato. Per molti erano forse sconosciuti come quelli del Qatar. Facile dire che all’inizio anche la generazione d’oro dei Behrami, degli Inler, dei Dzemaili e dei Lichtesteiner era poco nota se non agli appassionati, e che magari Benito , Sow e Mbabu faranno meglio di loro, col tempo.
Si potrebbe anche pensare che il calcio svizzero ha vissuto momenti sicuramente importanti. Arrivare all’ottavo rango del ranking, qualificarsi regolarmente ai tornei principali e fare anche discretamente non era certamente un’abitudine, e magari pretendere di più non è scontato. Come non è doveroso rimanere ai vertici, realisticamente parlando di periodi di gloria prima di questi il calcio rossocrociato nazionale non ne aveva vissuti moltissimi.
L’addio di molti idoli e l’uscita con la Svezia hanno causato la disaffezione che si è vista ieri a Cornaredo? Se così fosse, peccato davvero, per un pubblico che probabilmente si sta abituando al caviale pensando che sarà il menù principale di ogni sera. Di sicuro, se quel clima si ripeterà anche nel resto del paese, difficilmente la Svizzera toccherà grandi vette. E se lo facesse, sarebbe troppo facile fischiare col Qatar e poi salire sul carro dei vincitori.
Il Ticino ha fatto una figuraccia, la Nazionale ancora di più. Esulta il Qatar, Petkovic quasi non sa cosa dire. Il Belgio farà capire se è stata solo una serataccia oppure c’è da preoccuparsi.