di Francesca Amaddeo *
Nonostante sui media si sia discussa te una possibile differita del termine dello stato di emergenza, questo è di fatto cessato il 31 marzo. Ciò porta con sé una serie di conseguenze, per lo più positive, ma implica dei necessari ragionamenti fiscali.Nel 2020, con lo scoppio della pandemia, la situazione, specie del mercato del lavoro e del frontalierato, è stata investita da un’ondata di cambiamenti, cui le norme tributarie non erano preparate.
Infatti, nel momento in cui le limitazioni hanno impedito gli spostamenti, inducendo ad un soggiorno forzato in uno o nell’altro Stato, per il frontaliere è venuto temporaneamente meno il criterio del rientro giornaliero presso il proprio domicilio.
Inizialmente presa sottogamba, la situazione ha cominciato a dare adito a dubbi ed incertezze relativamente allo status di frontaliere e, soprattutto, al trattamento fiscale da applicare, nei confronti del lavoratore, in primo luogo, ma anche relativamente alla legittimità o meno del prelievo alla fonte operata dal datore di lavoro.
Questo problema comincia ad essere affrontato con linee guida della comunità internazionale e dagli Stati interessati con la sigla di accordi ad hoc. Tendenzialmente, la scelta è quella di mantenere la tassazione operata prima del COVID-19 invariata finché vige lo Stato di emergenza. A far data da marzo 2020, assistiamo ad una proazione di diversi Paesi, primi tra tutti, Francia, Germania, Lussemburgo e anche della Svizzera, che firma appositi accordi amichevoli con i Paesi confinanti. Tutto tace, invece, sul versante italiano.
Così, quasi contro ogni aspettativa, dopo mesi di silenzio, a giugno 2020 ecco che Svizzera ed Italia siglano il loro accordo amichevole, in linea con quanto fatto già dagli altri Stati interessati dal frontalierato. Le regole dell’Accordo del 1974 continueranno ad applicarsi anche in caso di deroga al criterio del rientro giornaliero, per la prima volta consacrato in una norma di legge. L’accordo sarà rinnovato tacitamente finché in uno dei due Paesi continuerà a sussistere lo Stato di emergenza. Indipendentemente, quindi, da limitazioni, quarantene, telelavoro, sino al 31 marzo, la Svizzera ha continuato ad imporre alla fonte i redditi di lavoro prodotti dai frontalieri, essendo tenuta all’annuale ristorno verso i comuni italiani di frontiera.
Ad oggi, i due Paesi non si sono ancora espressi e, stando al tenore letterale dell’accordo amichevole, questo sembrerebbe essere decaduto. Cosa accadrà d’ora in poi?
Eppure un fenomeno come il telelavoro non può essere ignorato. Siamo tutti consapevoli della sua esistenza, un po’ meno dei suoi effetti fiscali. Potrà ancora parlarsi di frontalieri nel caso in cui si passi ad uno svolgimento dell’attività da remoto al 100%?
E, ancora, cosa accadrà in caso di percentuali di svolgimento del lavoro in parte presso il proprio ufficio e in parte da casa?
In assenza di regole specifiche ed indicazioni delle autorità, c’è un reale pericolo di doppia imposizione che pende sui redditi da lavoro dipendente provenienti dal frontalierato.
Le regole speciali per questi contribuenti verrebbero meno, trovando, invece, applicazione le previsione generali delle convenzioni internazionali.
Segnatamente il riferimento è ancora all’art. 15 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, laddove, in breve, l’attività viene in linea di massima assoggettata ad imposta dove è fisicamente esercitata.
Sulla scorta di questa definizione, l’Italia, ad esempio, ben potrebbe richiedere di assoggettare integralmente il reddito del contribuente residente sul suo territorio, qualora questi non rispondesse più ai criteri dell’Accordo del 1974 (segnatamente il rientro giornaliero al domicilio) e lavorasse presso la propria abitazione sita nella Penisola.
Non si dimentichi, inoltre, che l’Accordo oggi vigente sui frontalieri non prevede alcuna deroga al rientro giornaliero al domicilio, diversamente da altri trattati simili stipulati dalla Svizzera con altri Paesi.
Vero è che il cd. Nuovo Accordo, siglato nel Dicembre 2020, prevede sia una soglia di 45 giorni in cui il frontaliere può permanere sul territorio dello Stato della fonte (leggasi, Svizzera) per ragioni lavorative, sia un riferimento alla possibilità di disciplinare il telelavoro (in un’appendice finale) “qualora necessario”, ma, anche ipotizzando la sua entrata in vigore nel 2023, questo tema richiederà ancora trattative tra le autorità da far confluire in un accordo scritto.
Per il presente, quindi, come per il futuro, l’unica cosa sicura sul trattamento fiscale da applicare al termine dell’emergenza per i frontalieri e per i datori di lavoro svizzeri è l’incertezza.
* Docente-Ricercatrice Centro Competenze Tributarie SUPSI - Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale