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Brenno Martignoni: Manfred von Richthofen, il leggendario “Barone Rosso”
Intrepido e senza paura, il mitico aviatore era diventato un eroe per gli amici e rispettato dai nemici. Un nobile “cavaliere dell’aria” morto giovane, come chi è “caro agli dei”  

di Brenno Martignoni Polti

L’asso degli assi. Manfred von Richthofen. Il Barone Rosso. Nato il 2 maggio 1892. A Breslavia. Regno di Polonia. Leggendario. Eroe dei cieli. Caduto prematuramente. Come chi è “caro agli dei”. Parafrasando il commediografo ateniese del mondo antico. Menandro. Parabola crescente, la sua. Moderna. Legata ai progressi tecnici. E a capacità straordinarie. Nel volare. Quasi un connubio naturale. A macinare vittorie su vittorie. Durante la prima guerra mondiale. Fino all’estrema missione. A Vaux-sur-Somme. Alta Francia. Il 21 aprile 1918. Per i francesi era “le diable rouge”. In forza alle “Luftstreitkräfte” tedesche. Dal maggio 1915. Glorificato. In quel altisonante “Barone Rosso”. Indomita energia. Bolidi scarlatti. Per lo più, Albatros D. III. Che aveva voluto dipinti purpurei. Fiammanti. Era già stato raggiunto, una volta, a metà marzo 1917. Un proiettile in fronte, che l'aveva paralizzato e reso temporaneamente cieco. Era riuscito a toccare terra prima di perdere conoscenza. Senza ascoltare i medici, aveva ripreso servizio quasi subito. Il 24 giugno 1917, al comando di una nuova unità. Un inedito stormo da caccia. A squadriglie 4, 6, 10 e 11. “Jagdgeschwader”. Alla conquista dell’apice. In antagonismo alle vieppiù solide formazioni britanniche. “Royal Flying Corps”. Manfred von Richthofen. Un fuoriclasse. Il più temibile della storia. Distintosi anche per nobiltà d’animo. Ancorché, probabilmente, ci furono più abili di lui. Il suo giovane istruttore Werner Voss. Il fratello Lothar von Richthofen. Manfred era però istintività pura. Eccellenti capacità di reazione. Con profondo senso del dovere. Mai si accaniva sugli antagonisti costretti all’atterraggio. Sua, la tattica dell’entrare nella scia avversa con il sole alle spalle. Avvicinarsi a meno di cinquanta metri e sparare con il mitra di bordo. Tutt’altro che affidabile. A volte, persino, pericoloso per la propria incolumità. Una scena che è già stata raccontata e tradotta in cinema più volte. Manfred von Richthofen, all'interno del suo apparecchio, in assetto di guerra. Individua un aereo inglese. Apre il fuoco. Quando si rende conto che la mitragliatrice del suo avversario è in panne, cessa di sparare e lo costringe ad atterrare. Una volta al suolo, gli stringe calorosamente la mano, offrendogli una sigaretta. Epico. Cavalleresco. Tratti cortesi veicolati dai suoi comportamenti. Ligio ai dettami di Boelcke. Le otto regole fondamentali degli scontri aerei. Di fatto, perse la vita proprio applicando con eccessivo rigore, la seconda. “Portare sempre a termine un attacco che si ha cominciato”. Il suo corpo fu raccolto dai soldati australiani. Inumato con tutti gli onori militari a Bertangles. Dipartimento della Somme. Venticinquenne. Da lì a undici giorni avrebbe festeggiato i ventisei. Con all’attivo già ottanta vittorie omologate. La propaganda alleata attribuì, inizialmente, la sua morte a un pilota britannico. Roy Brown. Avrebbe raggiunto il Fokker rosso di Manfred, mentre questi era impegnato nell’inseguimento della squadriglia nemica. In realtà, a mettere giù il Barone Rosso fu un colpo fortuito esploso da terra. Fuori zona scontri. Non nel corso di un eroico duello, ma dietro le linee di battaglia. Secondo numerosi ricercatori, il “Barone Rosso” fu colpito, per i postumi del ferimento al capo dell’anno prima. Che l’avevano reso imprudente. Si lanciava sempre più in manovre spericolate. La sua scomparsa sollevò ovunque solidale partecipazione. Ancora oggi, a più di un secolo, le circostanze esatte della sua fine restano poco chiare. Esattamente. Come il suo mito. Aleggiante. Al di sopra del tempo.

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