*di Bruno Cereghetti
Per le conseguenze economiche di una malattia o di un infortunio, ossia la perdita di guadagno, ogni lavoratore è assicurato d’obbligo contro gli infortuni (Suva o assicuratori privati) e la maggior parte lo è anche per la malattia (ancorchè in Svizzera non obbligatorio). In questo modo il lavoratore pensa di essere protetto sempre dai danni economici, soprattutto anche nel caso di impossibilità al guadagno prolungate. Poi, se le conseguenze dovessero perdurare nel tempo, resta l’assicurazione invalidità. Sulla carta è perfetto. Ma nella realtà così non è.
La protezione totale è garantita solo nei casi bagatella (influenze, slogature di caviglie, …), oppure nei rari casi gravissimi, dove le possibilità vitali sono compromesse all’estremo. Ma per il 55enne muratore con la schiena rotta, oppure la segretaria 55enne che cade in burnout estremo, che non potranno mai più esercitare la propria professione abituale, si prospetta l’umiliazione dell’assistenza sociale precoce. Nei fatti capita questo. Già dopo pochi mesi di inabilità lavorativa l’assicuratore fa peritare il malcapitato (anche se Suva prevalentemente assume “gli esperti” in casa propria). Perché per legge, o diritto, gli assicuratori hanno la facoltà di scegliere unilateralmente il perito nelle cui mani mettere la persona malata o infortunata.
Ogni assicuratore si sceglie i propri periti, compiacenti, e li indora di soldoni. Il tutto a partire da un unico criterio: quello di ottenere un responso a proprio favore. Se poi un perito designato avesse a sgarrare, ossia a stendere tre o quattro pareri ravvicinati con conclusioni favorevoli all’assicurato, ebbene, viene semplicemente defalcato dalla lista dei mandati. E a vita. I responsi classici dei periti concludono magari con un’incapacità completa nell’attività di prima, ma indicano che per una fantomatica attività adeguata (leggera) esiste una capacità lavorativa elevata, calibrata percentualmente a tavolino in modo tale da escludere un’indennità per perdita di guadagno. Sulla carta ci sarebbe ancora l’AI. La quale però, per salvare i propri conti, fa proprie le perizie degli assicuratori precedenti. E laddove fossero ancora un po’ troppo a favore dell’assicurato, ne ordina di proprie. Che si svolgono sulla medesima, socialmente scandalosa, falsariga.
Alla fin fine per l’assicurato si aprono le porte dell’assistenza sociale. Chi assume realisticamente, oggi come oggi, un 55enne muratore con la schiena rotta o una segretaria vittima di burnout estremo? Anche perché né Suva, nè l’AI (quest’ultima nonostante certi ridondanti, e irritanti, proclami), e tanto meno gli assicuratori privati, aiutano concretamente a ricercar lavoro la persona toccata dai lapidari pronunciamenti.
E così nella civile Svizzera, in pieno terzo millennio, un infortunio o una malattia possono generare povertà.
*ex capo dell’Ufficio assicurazione malattia del DSS