Cronaca
12.01.2017 - 13:070
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40
Gran Bretagna, una tassa sui lavoratori UE? Ma in Ticino, Galeazzi e Pamini...
Dopo Brexit, la proposta è di inserire una tassa sui lavoratori provenienti dall'UE. Il democentrista parlò di "incentivo ecosostenibile aziendale", Pamini voleva vendere i permessi per i frontalieri
LONDRA - In Gran Bretagna, si porta avanti il processo per uscire dall'UE, come chiesto dai cittadini con il voto denominato Brexit. Dalla voce del sottosegretario all'Immigrazione Robert Goodwill è giunta una proposta destinata a far discutere: applicare una tassa di mille sterline all'anno da imporre alle aziende locali per ogni lavoratore specializzato proveniente da un paese UE che viene assunto.
Lo scopo? Dare la priorità ai cittadini britannici. Qualcosa di simile entrerà in vigore a partire da aprile per le assunzioni di lavoratori da paesi che non fanno parte dell'UE.
In Svizzera, e in particolare in un Cantone come il Ticino con tanti frontalieri quale è il Ticino, una misura ispirata a quella britannica potrebbe funzionare, portando in cassa diversi soldi? Spulciando fra vecchi articoli, si evince che l'idea, in modo diversi, era stata espressa da almeno due esponenti della destra ticinese: il democentrista Tiziano Galeazzi e Paolo Pamini, di Area Liberale.
Nel lontano 2012, quando i frontalieri erano "solo" 55mila,
Tiziano Galeazzi propose, oltre a concedere incentivi fiscali e accordi di dilazioni sulle imprese a chi occupava almeno il 60% di residenti, di escludere dai benefici o di penalizzare chi invece non rispetta la quota. Qualche tempo dopo, azzardò a parlare, in modo provocatorio, di un'ipotetica forma di partecipazione annuale sul personale proveniente dall'UE. La cifra? 1'000 franchi per posto di lavoro, da far versare dal datore di lavoro, con una sorta di contributo aziendale per la promozione economica, definito anche "incentivo ecosostenibile aziendale".
Dopo aver sentito dell'idra britannica, ha commentato su Facebook: «Oggi, in pratica oltre a sistemare le casse cantonali, potremmo usare i soldi per la formazione scolastica, la riqualifica professionale, il pareggio di bilancio, la socialità e il promovimento economico. Entrerebbero cosi di nuovo nel circuito economico cantonale...».
Anche
Paolo Pamini, quando era candidato nel 2015 per il Consiglio di Stato, in un'intervista a ticinonews.ch propose di vendere i permessi per i frontalieri. A che prezzo? «Uno che equivalga alla differenza di salario fra un frontaliere e un residente. Parlando di cifre, se poniamo uno stipendio a 3000 franchi (cifre comunque minime), in Italia equivarrebbe a un salario di 1000 franchi: il permesso G potrebbe dunque costare 2000 franchi al mese. Chi lo pagherebbe? Sarebbe indifferente, sia che lo facesse il lavoratore sia che fosse a carico dell'azienda i risultati sarebbero gli stessi».
E poi avrebbe voluto utilizzare questi fondi per abbassare le imprese alle imposte, in modo da annullare il dumping salariale (dato che, con il costo del permesso, un lavoratore residente e uno frontaliero costerebbero uguali) e rendendo il Ticino attrattivo in termini fiscali.