Cronaca
10.11.2017 - 11:000
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17
ESCLUSIVO Silenzio, parla Sansonetti. "La cena a Bormio, le accuse di violenza e usura, il mandato, vi dico la mia. E sospetto di un complotto"
Il responsabile operativo di Argo 1: "ci sono delle circostanze che mi fanno pensare che 3-4 agenti volessero distruggere l'azienda. L'assegnazione del mandato è avvenuta come dichiarato dai funzionari del Cantone. I turni? Vi spiego come funzionavano, mentre a Unia dico che..."
LUGANO – Adesso parla lui. È stato tirato in ballo sin dall’inizio, con varie accuse, e poi la sua Argo di fatto ha causato uno scandalo che sta dividendo Governo e Parlamento, politica e cittadini, su cui a distanza di mesi ancora si indaga.
Marco Sansonetti, direttore operativo di quella che fu la Argo 1, non può ancora dire tutto, ma ha accettato di rispondere a qualche domanda che gli abbiamo posto. “Confido comunque nella Giustizia che sta facendo le sue indagini, non entro dunque in merito nel suo lavoro, poi quando sarà il momento opportuno potrò raccontare la mia versione integrale”.
Siamo partiti da un episodio molto discusso, la ormai famosa cena offerta alla funzionaria del DSS, compagna di Fiorenzo Dadò, a Bormio. “Dipende da come la si interpreta, è importante anche capire che la funzionaria in questione non aveva funzioni direttive, non ha partecipato a nulla riguardante l’assegnazione del mandato. Io vengo dal mondo dello spettacolo italiano, e offrire una cena lo vedo come un gesto di galanteria, un po’ come pagare un caffè a qualcuno che incontro al bar”.
Ma quindi, la cena? “Sono cliente di quell’hotel dal 2003, lo considero quasi casa mia, e mi sono accordato col direttore per questo gesto di benvenuto. La funzionaria non ne era a conoscenza, l’ha saputo solamente quando hanno saldato la fattura. Non l’ho fatto perché lei fosse stata gentile o mi avesse favorito, tra l’altro non ero a conoscenza di chi fosse il suo compagno e di chi l’avrebbe accompagnata in quella vacanza. Non conosco tutt’ora Fiorenzo Dadò. Un semplice gesto di cortesia, che dalle mie parti è normale, è il mio modo di comportarmi abitualmente. Non si è trattata di tentata corruzione ma di galanteria: non ho bisogno di corrompere alcuna persona”.
Non si aspettava un pandemio del genere, ripete, per qualcosa che ritiene normale. Della Argo si parla ormai da mesi, come interpretare il tutto? Sansonetti è certo, “a questo punto è una questione politica”.
Fatto sta che il mandato non era regolare, e che all’agenzia si contestano molte cose. Partiamo dall’inizio: come è arrivata la Argo a ottenere il mandato? Sansonetti parla di sé, “lavorai alla Rainwbow perché avevo bisogno di ottenere l’attestato di ausiliario di polizia nel Canton Ticino. Poi ho dato le dimissioni ed è stata fondata Argo, che è divenuta operativa con il nome di Otenys SA nell’ottobre del 2013. Come responsabile marketing ho inviato numerose offerte a enti diversi, non solo pubblici. I primi lavori svolti da Argo 1 (che era un ramo della Otenys e che con questo nome ha iniziato a operare nel febbraio 2014) sono stati commissionati da centri commerciali”.
Il mandato col Cantone arriva dopo, “a luglio 2014, la prima offerta era stata inviata a cavallo dell’inizio dell’anno”. Come è avvenuto il tutto? “Esattamente come hanno dichiarato il direttore della Divisione e il Capoufficio nei verbali, resi noti dal Caffè. Ho conosciuto il Capoufficio quando ho lavorato al centro di Madonna del Re”.
Gli chiediamo se la Argo aveva abbastanza agenti per coprire i turni. “Abbiamo sempre garantito due agenti. Tengo a precisare che il mio lavoro era legato non solo alla sorveglianza ma anche alla gestione dei richiedenti l’asilo. Ero responsabile operativo dei tre centri e spesso dovevo assentarmi per svariati compiti, come procurare il materiale di prima necessità per i richiedenti, lo spillatico settimanale, il ritiro della posta, e le parti burocratiche e amministrative dei richiedenti. I servizi aggiunti rispetto alla precedente società sono stati l’innovazione: presso altre agenzie si pagavano mentre da noi facevano parte del contratto. C’era una situazione di emergenza, e il mio ruolo era strettamente operativo. Due persone di fiducia incaricate erano responsabili dell’organizzazione dei turni, in comune accordo con tutti i collaboratori dell’azienda. Eravamo organizzati in modo molto familiare, per riuscire ad agevolare le necessità di ognuno. La squadra era compatta, affiatata e funzionale grazie a questo sistema di operare vicino a loro”.
Lui non sa molto dei pagamenti, “mi occupavo solo della parte operativa, rispondo di quella. La parte contabile era gestita da due strutture esterne”.
Eppure sospetta che vi sia stato un complotto da parte di alcuni agenti per distruggere la Argo. Una tesi interessante: ma perché? Non se lo spiega con sicurezza nemmeno lui. “Dalla visione degli atti dei denuncianti si inizia a evincere che sono state create delle situazioni ad hoc da parte di 3-4 agenti, che hanno voluto che l’azienda finisse male. Il superteste non è mai stato obbligato a lavorare, in quanto è un imprenditore e aveva già la sua attività, non è un segreto. Un altro aveva già la possibilità di passare a Securitas”.
Diversi fattori lo inducono a pensarlo. “Ricordate la storia della tubercolosi? Qualcuno ha rubato e diffuso lo scambio di email confidenziali tra Argo e il Cantone, così come l’appropriazione dei file della società consegnati a Unia e le varie immagini e registrazioni audio premeditate per uno scopo ben preciso. E il presunto asilante legato… hanno fotografato la catena che serviva per legare le biciclette, non certo le persone!”
E l’usura? Per Sansonetti, comunque, “i dati in possesso di Unia non sono dunque corretti, loro stessi avrebbero dovuto verificare contattando l’azienda per maggiori informazioni. Per esempio Unia non è al corrente che gli agenti che operavano a Peccia usufruivano di vitto e alloggio pagato da Argo 1 ”.
Accusa anche il sindacato, “perché hanno difeso una sola persona (si riferisce all’agente assunto poi dalla Securitas e sospeso, un’altra vicenda che ha suscitato polemiche, ndr) e non gli altri 25 ex agenti che ora faticano a lavorare?”. Si dice convinto che l’agente in questione non ha i requisiti per lavorare presso la Securitas, “avendo da poco piú di un anno solo il permesso B, mentre è richiesto di essere svizzeri o col permesso C (e ci mostra i requisiti base per far parte di Securitas, ndr). Tra l’altro sono state licenziate altre persone da Securitas, mentre lui è sempre lì”. Durante la seduta fiume del Gran Consiglio, si è parlato di verifiche sull’uomo, per un presunto permesso B: come sia andata a finire, noi non lo sappiamo.
Mentre cosa ci dice in merito alle accuse di sequestro di persona? “L’intervento è stato effettuato dalla Polizia, per legge devo stare al regolamento di Polizia senza ostacolare le attività della stessa, non potendo dunque oppormi alla loro decisione di ammanettarlo all’interno della doccia. Inizialmente avevo dato parere contrario ma appunto ho dovuto sottostare alla loro decisione. In tre anni di attività nei centri abbiamo sempre operato a stretto contatto con la Polizia, con cui avevamo un ottimo rapporto di collaborazione e di fiducia reciproca. Nego le dichiarazioni fornite alla RSI in merito a episodi di violenza, e dichiaro di non aver mai ricevuto una denuncia penale per nessun motivo né tantomeno per violenza. Non è mai stata fatta violenza sul minore in questione o altri richiedenti. Addirittura mi hanno affidato la gestione completa dei minorenni, compreso i contatti con la scuola, nonostante avessero curatori del Cantone, questo perchè c'era piena fiducia nel mio modus operandi”.
Il fatto che poi in realtà il mandato non fosse regolare, non c’entra col quadro. “Gli agenti non credo proprio potessero saperlo, non ne ero a conoscenza nemmeno io”.
Lamenta che siano stati costruiti servizi giornalistici e televisivi senza avergli chiesto la documentazione. Ora ha raccontato parte della sua versione, la sua verità. Seguiranno sviluppi, al termine delle indagini.
Paola Bernasconi