LUGANO – “Grazie, mi ha fatto bene riparlarne”. Sono le parole più belle con cui poteva terminare la lunga conversazione. In modo da pensare di poter anche aiutare qualcuno, con gli articoli e le testimonianze: non solo chi leggendo può immedesimarsi, ma anche chi racconta quel che è successo, lo esamina, col distacco di anni.
Ogni volta che esce un nuovo gioco, sia al pc o alla playstation, la novità attrae, e spesso si diventa dipendenti. Ancora una partita, cosa vuoi che sia. Ho perso, ci riprovo. Ho vinto, tento di arrivare più in alto. Ovviamente, da lì ad arrivare alla dipendenza ce ne vuole, non è la semplice giornata passata al pc col bucato che si accumulava a preoccupare. Però i segnali vanno percepiti.
La donna con cui parliamo (nome noto alla redazione) ha un passato da dipendente da videogiochi. “Tutt’oggi non mi sento di condannare i giovani che diventano dipendenti. La società non offre molti stimoli, specialmente qua in Ticino, i giovani sono un po' abbandonati a loro stessi, mettici una situazione difficile in casa, un lavoro che non ti offre possibilità di carriera, è un attimo incappare in questi ambienti. Nei giochi online puoi diventare "qualcuno" grazie al tuo impegno, alla dedizione alla tua personalità. Non conta il cognome che hai, l'età, il tuo aspetto fisico. Non ci sono tutte queste emozioni che ti fregano ( che a me hanno reso molto difficoltoso il mondo del lavoro essendo io molto emotiva e non in grado di reggere le dinamiche che si creano) o meglio ci sono ma puoi cammuffarle dietro allo schermo”, ci dice.
Per lei, è cominciato tutto attorno ai 17 anni. “Ho passato un periodo in cui trascorrevo più tempo a giocare che tutto il resto. Avevo una sorta di vita parallela online, andavo solo al lavoro, ma trascuravo anche quello a causa delle notti insonni passate a giocare con i miei amici virtuali”.
Come ha analizzato prima, tutto è partito da problematiche che stava vivendo: voleva evadere da esse. “Se non era quello sarebbero stati la droga o l'alcool che è anche peggio. Quel che conta è il bisogno di evadere”, ammette schiettamente.
“Avevo problemi a casa, mia madre per problemi famigliari aveva iniziato a bere. E già lì avevo iniziato a giocare. Poi quando sono uscita di casa ho dovuto lasciare l'università perché ovviamente non ce la facevo con i soldi e ho dovuto trovare un lavoro. Ma in generale mi sentivo fuori posto a interagire con gli altri. Mi annoiavano tutti e la routine quotidiana mi mandava fuori di testa. Non riuscivo ad adeguarmi al sistema sociale”. Dunque, giocava.
"Era un modo per evadere. Prima qualche ora a settimana e poi praticamente sempre. Uscivo comunque la sera ma mi annoiavo terribilmente, i ragazzi della mia età mi sembravano così stupidi. Non vedevo l'ora di tornare a casa per incontrarmi con i miei amici virtuali”.
È arrivata a dormire pochissime ore per notte. “Pensi che cambiai casa e non disfeci mai gli scatoloni. Talmente ero diventata apatica e priva di interesse. Il mio gatto aveva problemi alle gengive e non mangiava più stava morendo di fame a momenti se non fosse intervenuta mia sorella”.
Cosa le fece capire che qualcosa non andava? “Non lo so, a un certo punto mi sono accorta che quei miei amici del gioco piano piano erano sempre più assenti alcuni non giocavano ormai più. E un bel giorno mi dissi che non potevo andare avanti così, che non mi avrebbe portato a nulla mi stava scivolando la vita dalle mani e decisi di mollare tutto e partire per fare quello che mi piaceva (studiare fumetto a Roma). Ho capito che era un problema con la storia del gatto. E poi mi sono addormentata al lavoro e il mio datore di lavoro mi ha beccata, mi sono vergognata da morire. Li ho iniziato a fare il clic che stava diventando un problema”.
L’amore, prosegue, è un espediente molto potente per guarire. Il suo nasce in un modo particolare, dalla dipendenza dei videogiochi. “Avevo conosciuto un ragazzo sul gioco e non riuscivo a togliermelo dalla testa. Così a Roma abbiamo deciso di incontrarci nella realtà. Ci siamo innamorati e piano piano non aveva più senso giocare, era molto più interessante progettare una vita insieme. E niente... Oggi abbiamo casa e 2 figli... E chi ha più tempo di giocare!”, esclama.
Ha riconosciuto il suo demone, le fragilità che l’hanno portata a rifugiarsi nel gioco, vi è quasi annegata e poi ha capito che non poteva continuare. L’amore l’ha aiutata, e da un incubo è nato un sogno. Una testimonianza che termina con una nota lieta e romantica: ma i segnali per non eccedere come la nostra gentile interlocutrice ci sono. Attenzione, la linea è facile da oltrepassare, purtroppo.