L'evento, organizzato esattamente un anno fa
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Cronaca
17.01.2019 - 17:380

"Boris, pieno di aperitivi, in una notte di gennaio fu lasciato solo". Il toccante ricordo della zia

La vicenda colpì tutto il Ticino. "Stiamo perdendo la pietas. Ho guardato il profilo Facebook di chi si diceva suo amico: pensano solo a bere, farsi, divertirsi, scopare. Spenti i riflettori non è rimasto niente"

LUGANO – Un anno fa, la notizia clou era la scomparsa del giovanissimo Boris Bernasconi, da Lugano. Ci fu un’enorme mobilitazione per il ragazzo, con una fiaccolata (“un anno oggi…”), con appelli. Purtroppo, il suo corpo fu rinvenuto nelle acque del Cassarate. Una vicenda che intrecciò solitudine, bullismo, difficoltà di crescere, dolore: ha insegnato qualcosa? A un anno di distanza, ne abbiamo parlato con la zia di Boris.

Cosa ricorda di quei momenti?
“Mi sembra che non sia passato un anno. Ricordo tutto come se fosse ora, le mie cellule ricordano ogni sensazione. Quali? È difficile parlare di sensazioni… Mi sentivo febbrile nell’urgenza di ritrovare questa persona che amo tanto e che sapevo sola, vivo o non vivo. Avevo la disperazione di dover aiutare un amato che era solo. Ero come sospesa nel tempo, come se non passasse ma contemporaneamente volasse”.

Immagino che abbiate avuto la speranza che lui stesse bene e fosse vivo fino a un certo punto e che poi sia subentrata la paura che invece non lo fosse, è così?

“Per quanto mi riguarda è stato quasi il contrario. Nel momento in cui ho avuto la notizia che era sparito, sapevo che non poteva essere una fuga, perché la cosa non gli assomigliava. Temevo un incidente. Poi man mano che mi sono mobilitata per la fiaccolata, che ho parlato con compagni, maestri, colleghi, mi è nata la speranza che potesse essergli successo qualcosa di alternativo, non so cosa”.

Ricorda il momento in cui ha avuto la notizia che purtroppo era morto?

“Sì, sì (esita un momento, ndr). L’ho ricevuta in moto molto brutale. Stavo riaccompagnando dei miei allievi delle scuole speciali, di cui sono insegnante, al bus. L’ho avuta in modo cattivo, ho cercato di tener duro, quando poi è partito il bus ho cominciato a urlare a perdifiato. Lì di nuovo mi sono sentita fuori dal tempo, ho avvertito un senso di vuoto. È stato di nuovo tabula rasa nel mio cervello, l’unico pensiero è stato che stavano portando il corpo vicino a dove vivo io. Ho passato parte della notte passeggiando davanti al centro dove eseguivano le autopsie. Finalmente non era più solo, come era stato per gran parte della sua vita”.

Si è data qualche spiegazione su quanto successo?

“No, non ci sono riuscita”.

Ha sempre parlato di un ragazzo solo, che ha vissuto anche il bullismo sulla sua pelle. Si poteva fare qualcosa in più?

“Sì, con l’attenzione ai segnali che danno i ragazzi. Penso alla leggerezza con cui si lascia che bevano alcool. Quella sera Boris ne aveva molto in corpo, nell’ultimo periodo frequentava una compagnia di persone che bevevano. In molti pensano che a 18 anni uno è grande abbastanza per decidere, invece l’alcool è una calamità per un cervello in crescita e soprattutto per chi ha una patologia al cervello. Si sottovaluta perché è qualcosa di tollerato e legale. Lui, in una notte di gennaio, pieno di aperitivi, è stato lasciato solo e si è perso”.

Chi poteva fare di più, dunque?

“(lungo silenzio, ndr). Non lo so, non posso puntare il dito. È un discorso generale come società: ci sono un buonismo e una permissività che sono deleteri. Si dice che si è grandi abbastanza, però non si sa come si è arrivati alla maggiore età, a volte sopravvivendo a quello che si ha attorno, e non sempre si hanno gli strumenti. Non si sa se una cosa ci fa bene o ci fa male, perché è la prima volta che ne facciamo esperienza. Se ci va bene, sopravviviamo, se ci va male no. A Boris è andata male. Eppure continuiamo a fare i buonisti, a scandalizzarci o a ridere quando ci sono dei giovani ubriachi senza prendere sul serio chi beve o si droga, e a lasciarli soli di fronte a un’esperienza di cui forse hanno bisogno ma fatte escludendo il mondo e le famiglie. C’è la percezione di credere che l’altro sappia quello che fa, non è così. Siamo troppo soli. Non possiamo sapere cosa facciamo, se non l’abbiamo fatto prima. Non solo all’età di Boris. Stiamo perdendo la pietas, l’empatia, il guardarci l’un l’altro, proprio per un’indifferenza. Si è stati a guardare”.

È questo l’insegnamento che le ha lasciato la vicenda?

“È un insegnamento? Non lo so. È la constatazione di una realtà triste. Per esempio qualche giorno fa sono andata a vedere il profilo Facebook di persone che mentre lo cercavamo si professavano i suoi migliori amici. Parlavano solo di alcool, di farsi, di divertirsi, di scopare… Mi è venuta una grande amarezza. Ecco, ci mobilitiamo tutti nel momento dell’urgenza, quando ci sono i riflettori accesi, poi spesso non rimane nulla, anzi, meno di nulla. Qualcosa di meraviglioso a livello mio personale è rimasto”.

Cioè? Ci vuole raccontare?

“Avevo organizzato la fiaccolata insieme alla sua responsabile al lavoro, senza esserci mai viste. Siamo diventate amiche, ci siamo trovate cuore a cuore. Ci siamo scritte gli auguri, a un anno dal nostro incontro, dicendo ‘grazie Boris per averci fatto incontrare’. Spesso parliamo di quanto accaduto, di nuovi incontri coi ragazzi, di quello che è cambiato dentro di noi sul porre l’attenzione sulla preziosità della vita. Questo è un suo regalo. Io e lei abbiamo lo stesso sguardo, Boris ha unito due persone simili che senza di lui non si sarebbero mai incontrate. Purtroppo, in quel momento non siamo state noi ad avere la maggiore influenza su di lui. Fino a un certo punto siamo state i suoi riferimenti, poi c’è stato il bisogno di fare esperienze, come facciamo tutti: la vita, dopotutto è mortale. Peccato che siamo state estromesse, un po’, in quell’istante della sua esistenza. Era comunque un suo diritto. Io voglio piuttosto rivolgermi a quello che mi ha dato, essere felice per averlo avuto nella mia vita per diciott’anni, perché era un ragazzo straordinario, lo ripeterò sempre. È stata una luce per me, sono stati solo diciott’anni, ma è bello sapere che esistono bambini, ragazzi, anime così. Me ne ha lasciata un’altra, la sua responsabile al lavoro, come lui”.

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