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Cronaca
11.08.2019 - 09:000

Da Giumaglio al 10enne che costrinse un coetaneo a praticargli sesso orale. Questa è la nostra gioventù bruciata?"

Il già direttore della rivista giovanile «Voci nuove» Marco Tonacini-Tani scrive: Ragazzi annoiati, stanchi di vivere a vent'anni, con sesso, droga e psicofarmaci. La devianza giovanile è realtà"

BELLINZONA – “Adolescenti e ragazzi che passano troppe ore soli, davanti al computer, alla televisione o con il smartphone di ultima generazione, bombardati da notizie e immagini di violenza e di sesso. Ragazzi di «buona famiglia» annoiati, magari stanchi di vivere già a vent’anni, che «hanno tutto» e «di più», che fanno uso e abuso di psicofarmaci e di droghe, che cercano solo nel sesso o nello sballo una via di sfogo e d’uscita facile e che poi diventano violenti”. Non è un bel quadro, quello della gioventù ticinese attuale (ma che in fondo potrebbe rispecchiare qualsiasi contesto) tracciato dal già direttore della rivista giovanile «Voci nuove» Marco Tonacini-Tani sul Corriere del Ticino qualche giorno fa.

La sua riflessione parte dai fatti di Giumaglio, dove un 17enne è stato picchiato selvaggiamente da un gruppetto di ragazzi, episodi che non si possono minimizzare come “ragazzate”. Come anche “quel ragazzino di 10 anni che ha costretto un suo coetaneo a fare sesso orale con lui, obbligando un altro ragazzino ad assistere”, fatto di cui si era parlato (ma mancava il dettaglio del terzo giovanissim oche aveva assistito).

Di chi è la colpa? Per Tonacini-Tani, non la si può gettare solo addosso alla società, ma le responsabilità sono sempre individuali. A suo avviso, chi “tempesta di botte un suo compagno di classe, magari solo per fregargli il telefonino, o lo «spacca tutto» di turno”, così come il ragazzino citato prima, è consapevole delle sue azioni.

“Qui dobbiamo responsabilmente interrogarci a fondo se il compito educativo in primis della famiglia e della scuola sia all’altezza della situazione, e su come facciamo vivere i nostri ragazzi. A quali modelli si ispirano e quali sono i loro interessi. Non basta non far mancare loro nulla, per soddisfare i loro capricci, del «voglio tutto» e «subito». È l’ambiente in cui vivono, crescono e diventano adulti che deve prepararli alla vita ed educarli al senso di responsabilità. Che conta è quello che il ragazzo riceve, ciò che vede. In un momento delicato come può essere quello della pubertà e dell’adolescenza, prima di capire se un ragazzo ha problemi esistenziali di disagio o ha commesso qualcosa che non avrebbe dovuto fare, bisogna: prestare cuore per volergli bene, occhi per vedere e orecchie per ascoltare; osservarlo nella sua quotidianità che, a volte, ci sembra apparentemente normale ma che in realtà non lo è affatto”, scrive. 

Sulle motivazioni del malessere sociale, va alcune ipotesi. “Potrebbe essere perché sono venuti a mancare i pilastri e i solidi modelli pedagogici educativi o che in famiglia non ricevono attenzione, affetto, ascolto o che in società non hanno spazi fisici in cui muoversi ed esprimersi, per cui sono incapaci di gestire responsabilmente le loro pulsazioni ed emozioni e quelle dell’altro e vanno alla ricerca di stimoli al limite della trasgressione. Utilizzare i social network per rivendicare le loro bravate e la loro supremazia sul soggetto più debole, è riprovevole. Non è fuori luogo parlare qui di devianza giovanile, che può assumere forme molto diverse: violenza psichica e verbale (per esempio mobbing), violenza fisica e sessuale”.

La soluzione primaria resta, a suo avviso, la prevenzione.

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