*Di Laura Riget, Anna Biscossa e Fabrizio Sirica
La puntata del 3 settembre di Falò mostra come in Ticino la legislazione sugli stranieri sia interpretata a piacimento secondo una precisa visione politica. Importanti risorse collettive sono impiegate - con metodi che invadono la dignità delle persone - per una caccia alle streghe indiscriminata contro gli stranieri residenti da anni sul nostro territorio, invece che controllare i pochi casi in cui è effettivamente necessario.
Il Partito Socialista richiama il Consiglio di Stato a interrompere qualsiasi procedura non conforme ad uno Stato di diritto e di rispettare le indicazioni della giurisprudenza. Sul tema degli stranieri in Ticino da anni si assiste ad un’applicazione eccessivamente e spesso ingiustificatamente restrittiva della legislazione vigente, in nome di una scelta politica che sembra finalizzata prioritariamente a rendere difficile la vita di queste persone nel nostro Cantone. Preoccupano in particolare le procedure inquisitorie alle quali sono sottoposti cittadini stranieri attivi sul nostro territorio, che dimorano in Ticino, che non hanno commesso alcun reato, che lavorano regolarmente o che, in alcuni casi, hanno avviato attività economiche indipendenti, magari impiegando manodopera.
Persone che, perché straniere, vengono indagate con ripetuti controlli di polizia, con intrusioni a volte umilianti nella loro vita privata, come se fossero delinquenti, in vista delle decisioni sul rinnovo del permesso B o sulla concessione del permesso C. L’approccio delle autorità competenti in materia di stranieri ticinesi, dispendioso in termini di risorse umane utilizzate (i casi presentati hanno mostrato situazioni con oltre 100 o 200 verifiche per una singola persona), si pone in contrasto con quello di altri Cantoni svizzeri, che riservano revoche dei permessi e controlli di polizia alle poche persone straniere che lo meritano, senza sparare nel mucchio.
Questa prassi è poco dignitosa dal profilo del corretto trattamento delle persone e il Partito Socialista ne chiede una urgente revisione da parte del Dipartimento delle istituzioni e del Consiglio di Stato, affinché il Ticino possa presto abbandonare questi metodi più vicini ad uno stato di polizia che allo stato di diritto.
Il servizio della RSI ha pure messo in luce come dal 2015, quando venne introdotto l’obbligo della presentazione del casellario giudiziale per l’ottenimento dei permessi per frontalieri, numerose decisioni della Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni e quelle su ricorso del Consiglio di Stato non rispettavano la giurisprudenza dei tribunali relativa ai criteri per rifiutare un permesso a motivo della violazione dell’ordine pubblico. Nel merito, la cosa più preoccupante è che il Tribunale cantonale amministrativo ha dovuto ripetutamente ricordare questo problema all’amministrazione e al Governo, sia in sede di ricorso, sia nei rendiconti annuali della propria attività, prima di vedere finalmente adeguata dopo anni una prassi eccessivamente restrittiva.
Anche in questo caso il Partito Socialista chiede che vada fatta chiarezza sulle responsabilità politiche del Consiglio di Stato e del capo dipartimento, abbandonando sistemi da caccia alle streghe segnalati come non conformi dai tribunali competenti. Nei prossimi giorni il gruppo parlamentare socialista farà delle specifiche richieste in tal senso. In particolare ci chiediamo se le precise indicazioni e raccomandazioni del Tribunale cantonale amministrativo non siano state sufficientemente evidenziate, fin dalla prima occasione in cui sono state segnalate, da parte del Dipartimento Istituzioni all’indirizzo del Consiglio di Stato, competente a decidere in qualità di prima istanza di ricorso.
*Copresidenti e vicecapogruppo PS