di Mons. Pier Giacomo Grampa*
Nessuno nella nostra Diocesi fu Vescovo per così tanti anni quanto Mons. Ernesto Togni, ordinato il 17 settembre 1978 e morto l’11 novembre 2022, dopo 44 anni di episcopato. Ma nessun Vescovo potè svolgere il suo ministero, a parte Mons. Lachat, per così poco tempo, perché colpito da una stanchezza che lo costrinse a presentare le dimissioni 7 anni dopo la presa di possesso della diocesi: il 21 giugno 1985, anche se dovette aspettare ancora dodici mesi prima di passare il bastone del pastore al suo successore. E furono per lui mesi difficili, duri e sfiancanti.
Io ero parroco a Moghegno, quando una sera d’inizio luglio 1978, sentii suonare il campanello, mi presentai ad aprire la porta dove c’era don Ernesto che come mi vide scoppiò in lacrime dirotte, costringendomi a farlo entrare subito nel mio ufficio, senza lasciargli salutare i miei genitori che erano con me per le vacanze. Era venuto per chiedermi di consegnare al Consiglio di Stato, il giorno seguente, 15 luglio, la lettera di nomina a Vescovo di Lugano, in contemporanea con la conferenza stampa pubblica.
Non ho mai dimenticato quelle lacrime che dicevano con quale spirito Don Ernesto si apprestava a dire di sì al Papa che lo chiamava ad essere vescovo di Lugano. Non se l’aspettava, non lo desiderava, temeva il peso del ministero che gli veniva chiesto, ma obbedì. Le terne presentate dal Nunzio alla Congregazione romana dei Vescovi non avevano avuto successo per il gioco dei voti contrapposti, per cui venne fuori questo nome “inatteso” da molti, ma ben degno.
Quello di Mons. Togni sulla cattedra di San Lorenzo fu un passaggio breve, un’alba radiosa, che lasciò segni di novità, di gioia, di apertura e di rimpianto. Non è in questa circostanza che dobbiamo fare il bilancio, ma ricordare lo spirito con cui il nuovo Vescovo voleva anticipare una visione positiva, di interiorità, di adesione libera e lieta alla bellezza dell’avventura cristiana, di cui diede chiara testimonianza il suo motto episcopale: “A servizio della vostra gioia”, che diceva bene l’entusiasmo, il coraggio, lo spirito che voleva dare al suo ministero.
Lo slancio di dedizione, di attenzione ai segni dei tempi, di vicinanza alla sua gente lo portò non solo a iniziare presto la visita pastorale nelle parrocchie della diocesi, ma a ripetere il viaggio tra gli emigranti ticinesi negli Stati Uniti d’America, rimarcando le differenze tra questo viaggio e quello degli anni cinquanta fatto dal vescovo Jelmini. Qui si era alla seconda, terza generazione e il dialetto dei padri era già molto dimenticato, per cui il vescovo, che non conosceva l’inglese, ebbe difficoltà di comunicazione, ma non mancò di portare a casa preziose intuizioni pastorali. Diede in ogni caso subito testimonianza di un cristianesimo giovane, in cammino, dinamico e aperto. Uno degli aggettivi che spesso ritornavano nella sua predicazione era l’aggettivo “forte”. Forte doveva essere l’annuncio, forte la sua messa in pratica, forte l’adesione al Concilio e poi al Sinodo, forte la sua sensibilità missionaria e l’attenzione alla dimensione universale ed ecumenica della Chiesa. Soprattutto credette molto al Sinodo, al quale, da presbitero, aveva partecipato con impegno ed entusiasmo, non mancando mai alle riunioni di commissione e nelle assemblee generali. Purtroppo deluso per le scarse realizzazioni pratiche. Qui sentì forte il peso dell’episcopato e la sofferenza per tante incomprensioni che piegarono la sua salute e ne misero a prova la sua resistenza.
Un Vescovo ricco di entusiasmo, dalle grandi potenzialità, dall’esempio luminoso e generoso, moderno e aperto all’incontro e al colloquio col mondo nello spirito del Concilio e del Sinodo, che ha pagato con la salute la sua dedizione e il suo servizio. Quante sofferenze, quante incomprensioni, di fronte a tanta instancabile generosità per un Vescovo che seppe coltivare in modo profondo il senso dell’amicizia e l’apertura missionaria.
Si deve a lui l’incremento dell’attività missionaria nella Chiesa di Lugano, soprattutto l’esperienza ventennale in Columbia. Quando dimissionò dal governo della Diocesi fece un soggiorno triennale a Barranquilla, dove vide completarsi l’impianto della nuova parrocchia e le strutture della scuola dedicate a San Carlo Borromeo de Los Olivos. Non possiamo dimenticare la scelta dello spirito e dell’esperienza scout come metodo educativo e l’amore della montagna, che portò anche nell’impegno di responsabile come vicerettore prima e rettore poi a Lucino nella sua attività educativa presso il seminario minore di cui tenne cronache precise e corrispondenze fedeli con centinaia di studenti. La scelta convinta della nuova liturgia per la celebrazione del mistero della salvezza e la conduzione collegiale, oggi si dice sinodale, della vita di istituto e anche della vita della diocesi, lo fecero presente in modo attivo sul terreno e disponibile all’incontro delle persone, non da tutti compreso e corrisposto.
Da ricordare pure quale momento significativo del suo episcopato l’accoglienza a Lugano nel giugno 1984 di Giovanni Paolo II in visita alla Chiesa Svizzera. Ebbe interesse per i viaggi, per conoscere le esperienze delle Chiese del nord, di Francia, del Belgio, d’Olanda e Germania, che in quegli anni erano all’avanguardia anche nello svolgimento dei lavori conciliari e sinodali. Quante cose ancora si dovrebbero ricordare sullo spirito attivo, generoso, aperto, moderno del Vescovo Togni, purtroppo non sempre sostenuto dalle collaborazioni che sarebbero state necessarie.
Dal suo testamento spirituale scritto a La Pelouse, Bex, Canton Vaud, 1987, riprendo la sua apertura con una citazione di Sant’Ignazio di Antiochia: “È vicino il momento della mia nascita. Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre. Chiedete per me che io possa raggiungerlo”. Ripercorre il cammino della sua vita, parlando dapprima della sua famiglia umana, poi della seconda famiglia che “è stata il Seminario, Lugano e Roma”. Scriveva: “Io non sono nato educatore, avrei dovuto essere prima nel ministero pastorale, che educatore nel Seminario per apprendere il vero stile della scuola della libertà”. Parla poi della terza famiglia incontrata nelle comunità di San Vincenzo a Tenero e di San Bernardo a Contra. Sottolineava che “La parrocchia mi ha rinnovato e moltiplicato, al di là dell’immaginabile, la felicità di essere prete. Ringrazio tutti i sacerdoti e i laici con i quali in quegli anni si è lavorato con entusiasmo insieme”. Quindi si rivolge alla grande famiglia della Diocesi e scrive: “Rimane per me un mistero della sua misericordia l’avermi chiamato al servizio della gioia nella Chiesa che è a Lugano, come resta più ancora mistero della stessa misericordia l’avermelo ritirato attraverso la fatica e la sofferenza”. Quindi sottolinea che “il Signore ha dato senso e valore anche a servizi più brevi, certo più forti”, dedicati in particolare “ai poveri, ai malati, a chi soffre, agli ultimi”. E ancora: “Quando lo incontrerò gli griderò grazie per la mia vita così come me l’ha data e costruita con i suoi doni e i suoi limiti, con la sua ricchezza e la mia povertà e il mio peccato. Gli dirò grazie per avermi fatto prete e vescovo, libero nella povertà e nella verginità, sereno nell’obbedienza, gioioso per temperamento e per fede, ricco di speranza anche nella fatica, semplice nel servizio della carità”.
Il testamento spirituale si conclude con un postscritto aggiunto a Brione Verzasca il 24 luglio 1997. Una conclusione che diviene un’invocazione: “Vorrei avere un cuore nuovo, dove trovino spazio tutti i poveri. Me lo plasmi il Signore dei poveri. E mi accompagni Maria, La Vergine povera, la Madre e la Regina dei poveri”. Ieri si è celebrata la domenica mondiale dei poveri. Guardate con che intuizione profetica Mons. Togni vi aveva pensato.
Grazie, Vescovo Ernesto, e perdona chi non ha saputo comprenderti.
* Vescovo emerito di Lugano