Politica
26.03.2017 - 12:440
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
"Una volta per tutte, non ho taciuto informazioni sensibili per fare un tiro mancino a Beltraminelli. Ecco cosa sapevo"
Il Consigliere di Stato leghista dà al Mattino la sua versione dei fatti. "Gli inquirenti lavorano in modo autonomo e non rispondono a me: in Svizzera vige la separazione dei poteri"
BELLINZONA – Adesso parlo io. Norman Gobbi prende la parola sul Mattino della Domenica, per chiarire i contorni della vicenda del reclutatore ISIS. Una settimana fa, infatti, il Caffè aveva lanciato l’ipotesi che il Ministro fosse a conoscenza dell’inchiesta, e avesse taciuto per danneggiare il collega pipidino Beltraminelli, suscitando dubbi in diversi politici. Nei giorni scorsi, poi, aveva precisato di essere a conoscenza solo del fatto che si indagava su un presunto reclutatore del Califfato in Ticino, senza sapere nulla di più. La Sottocomissione che si occupa degli scandali Argo 1 e permesso poli non pare convinta, e chiederà lumi. Intanto, Gobbi ribadisce sul settimanale di partito la sua versione.
Parte definendo la tesi del Caffè “complottista, degna di una produzione cinematografia di fantapolitica. Certo, nel torbido si può anche pescare, ma si rischia pure di affogare. Soprattutto se lo si fa in maniera disordinata, come si sta facendo di questi tempi”.
“Questa settimana ho invitato tutti a prendere un po' di distanza dagli eventi e analizzare tranquillamente i fatti, senza la foga da bagarre elettorale che non fa mai bene, soprattutto alle istituzioni. I contorni sempre più effimeri della vicenda creano le basi per il caos, nel quale appunto si può approfittare politicamente come cercano di fare taluni, ma nel quale si rischia anche di finir male”, aggiunge Gobbi, che poi passa a spiegare, ancora una volta, che le inchieste in corso sono due: quella della Magistratura della Confederazione riguardo il reclutatore, e la seconda, della Magistratura ticinese, riguardo alla Argo 1 per usura e sequestro di persona. “L’unico collegamento tra le due indagini è il presunto reclutatore, nel suo ruolo di dipendente, che però non ha un ruolo nell’inchiesta cantonale. Di tutto ciò io cosa sapevo? Che sul nostro territorio si stava indagando su un possibile reclutatore. Senza avere informazioni di dettaglio, nulla di più”.
Fughe di notizie, precisa, possono far fallire l’operazione di cercare qualcuno collegato al terrorismo, un campo dove sovente si ha difficoltà a concludere le inchieste.
“Come accade in casi simili, le informazioni erano in mano a chi stava conducendo le indagini preliminari e non erano evidentemente di mia competenza. Le indagini di competenza del Ministero pubblico ticinese sono iniziate solo poco tempo prima che il caso divenisse di dominio pubblico e che il comandante della Polizia cantonale riferisse seduta stante al Governo”, scrive Gobbi, che poi prosegue: “ritengo opportuno precisare che sono a capo di un Dipartimento e membro di un esecutivo cantonale. E in Svizzera, fino a prova contraria, vige la separazione dei poteri. L’attività degli inquirenti, anche se di polizia, non è di mia responsabilità. Lavorano in piena autonomia e non rispondono al sottoscritto come tanti hanno insinuato di recente. Quindi una volta per tutte: no, Norman Gobbi non ha taciuto informazioni sensibili per fare un tiro mancino a Paolo Beltraminelli”.
Infine, un appello: “lasciamo lavorare gli inquirenti, polizia e magistratura, e attendiamo le verifiche amministrative. Alla fine non ci saranno camion di sabbia, ma misure correttive e chiare responsabilità, che permetteranno di ristabilire la fiducia dei ticinesi. Senza dimenticare che i cittadini hanno il diritto di valutare con severità l’operato di noi politici, eletti dal Popolo”.