di Massimiliano Ay*
Non nascondo di aver avuto qualche perplessità nell'apprendere la decisione del Consiglio di Stato sulla riapertura delle scuole. Tuttavia non mi sfuggono tre aspetti che vanno presi in analisi:
1) Il primo aspetto è il fatto che l’insegnamento a distanza, lungi dall’essere una strabiliante risorsa di progresso, in realtà indebolisce il fondamentale rapporto umano della relazione educativa e tende a consolidare in modo sostanziale l’influenza che l’origine di classe ha sul processo di apprendimento: in pratica consolida le disuguaglianze sociali fra i ragazzi perché la tecnologia non è affatto neutrale come forse si tende a idealizzare.
2) Il secondo aspetto è che la scuola non è solo lezione nel senso di trasmissione di nozioni, ma è - soprattutto nella scuola primaria - socializzazione! E questo per i bambini assume un’importanza anche dal lato psicologico e relazionale che evidentemente non si può sottovalutare dopo circa due mesi di isolamento forzato spesso in contesti abitativi non sempre confortevoli.
3) Ma direi che c’è un terzo aspetto, forse il più importante, che si deve tenere in considerazione prima di attaccare gratuitamente il DECS: l’economia privata, di fatto, è purtroppo - e sottolineo "purtroppo" - stata riaperta su pressione degli ambienti padronali! I genitori dei bambini devono quindi andare a lavorare: è fattibile in questo contesto pensare di tenere ancora chiuse le scuole come se nulla fosse?
Allora, in conclusione, chi oggi chiede dimissioni ad personam di questo o quel ministro o di questo o quel funzionario non sta facendo politica, men che meno sta facendo politica di sinistra, e non cerca soluzioni vere per il Paese: sta solo fomentando una sterile polemica di bassa lega che non farà avanzare di un millimetro né la coscienza di classe, né i diritti sindacali dei docenti e degli studenti, né fornirà sbocchi progressivi alla crisi in generale.
Forse guadagnerà qualche like sui social e qualche voto incattivito alle prossime elezioni comunali. Non pensavo fosse però questo il “marxismo rivoluzionario” cui si riferiva pomposamente l’MPS di un tempo.
Il Partito Comunista - Svizzera Italiana (già Partito del Lavoro) ha scelto una strada diversa: un’opposizione propositiva, conscio non solo che delegittimare le istituzioni del nostro Cantone significa oggi dare libero sfogo proprio al neoliberismo privatista e all’individualismo egoistico, ma sicuro che ogni cambiamento sociale si costruisce anzitutto creando comunità, solidarietà e unità sul piano popolare: non certo esacerbando conflitti pretestuosi durante una pandemia!
*granconsigliere PC