di Greta Gysin*
Tanto si è scritto, detto, sentito negli ultimi giorni sugli incresciosi fatti avvenuti nel mondo scolastico. In mezzo a tutte le parole, gli interrogativi, le accuse e le polemiche, c’è una cosa che è andata dimenticata: la protezione delle vittime, della loro sfera privata e integrità psichica.
Penso alle vittime dirette, ma anche alle famiglie di tutte le persone coinvolte. Penso anche alle ragazze e ai ragazzi che sono in quelle classi, o sono o erano in quella sede negli scorsi anni. Magari ci sono altre vittime che hanno vissuto soprusi simili in altri tempi e contesti, che stanno (ri)vivendo ora una tempesta emotiva. A maggior ragione in un caso come questo, in cui le vittime dirette e indirette e le persone forse informate dei fatti, sono adolescenti e minorenni, va garantito il diritto all’anonimato e la protezione della sfera privata nei confronti del mondo esterno al procedimento. Questa corsa al dettaglio cui stanno partecipando – ahimè! – tutti i media e molte persone della politica o del mondo scolastico, infierisce infatti su chi già ha sofferto.
Da mamma, da cittadina e da politica ho anch’io tanti pensieri che mi bruciano nel petto, e ho pure una grande rabbia. Ma prima di buttar fuori tutto ciò, bisogna pensare alle conseguenze che le nostre parole hanno sulle vittime, le uniche persone che in questo momento dovrebbero contare per chiunque. Perché ogni parola fuori luogo ora, è una manciata di sale sulle loro ferite aperte, e questo indipendentemente dalle intenzioni o dalla sincerità di chi vorrebbe fare qualcosa.
E a chi pensa che io esageri, ricordo gli appelli alla sensibilità di altre vittime travolte da simili fatti e strumentalizzazioni nel passato recente cantonale. Fa male veder stampata in prima pagina la propria storia nei minimi dettagli. Un male evitabile, perché non tutto è d’interesse pubblico, non di ogni evento e dettaglio bisogna riferire.
C’è di più. Una simile eco mediatica e politica, può valere come attenuante per l’imputato al momento della condanna. Ne abbiamo avuto prova – qui di nuovo – in Ticino. E questo è un monito a chiunque scriva o dibatta pubblicamente: ogni vostro articolo, ogni vostra notizia, ogni parola e dettaglio sui fatti e sulla vita della persona che ha abusato, potrebbe valere come attenuante e portare ad una riduzione della pena.
È orribile, contraddittorio. Sto da tempo lavorando, a Berna, per modificare la Legge e migliorare così la protezione delle vittime. Ma intanto è la legislazione che abbiamo e non possiamo non tenerne conto: la curiosità morbosa e la strumentalizzazione, danneggiano direttamente le vittime, e possono attenuare la pena. Se, pur con le migliori intenzioni, non intendiamo fare altri danni, c’è dunque una sola cosa che dovremmo fare ora dal di fuori del procedimento: silenzio.
*Consigliera Nazionale Verdi/Articolo pubblicato sull'edizione odierna de La Regione