Sanità
07.01.2018 - 17:120
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
Vivere senza un braccio, "una difficoltà per gli altri più che per me. La mia famiglia non me l'ha fatto pesare, ma quella nonna che disse al nipote 'ecco cosa succede a essere cattivi'..."
Una 34enne ci racconta la sua esperienza di vita, con forza e positività. "Lavoro, ho imparato a nuotare e andare in bici prima di mio cugino". I pregiudizi, purtroppo, ci sono, "un allenatore mi tenne in panchina per paura mi facessi male. Ai genitori dico di insegnare ai figli a non temere il diverso"
BELLINZONA – Quando essere disabili, o meglio, nascere senza un braccio, è vivere senza pensarci, senza badare agli ostacoli, senza avere protezioni particolari, e quando è il caso, riderci su. Come dall’estetista quando la ragazza che fa la manicure attende che venga porta l’altra mano, o come quando l’amica si arrabbia perché al bar ha preso solo due birre lasciando la terza al bancone.
Questa è una storia di grande forza, e soprattutto, la dimostrazione di come non avere un braccio non significa non poter fare praticamente tutto. È il racconto di una famiglia che, pur non sapendo come mai la figlia fosse nata così, non l’ha mai tratta come se le mancasse qualcosa.
Qualche tempo fa avevamo raccontato della madre di un bambino nato senza un piedino e senza una manina. Grazie a quella storia, siamo venuti a conoscenza di questa, capace di dare un sorriso in giornate grige.
La protagonista ha 34 anni, e quando è nata, di martedì grasso (“sarà per questo che amo il carnevale?”, scherza), si sono accorti che mancava un braccio, il destro. Come mai? Le ipotesi sono diverse, “i medici hanno detto che sono nata così perché la placenta ha fatto un infarto e si è "mangiata" il braccio... Anni dopo un altro medico suppose invece che fosse colpa della pillola anticoncezionale che prendeva mia mamma, pillola che poi era stata ritirata dal mercato. Ma purtroppo non avendo fatto analisi sulla placenta era difficile dimostrare questa teoria”, ci racconta.
“Come dico sempre a tutti, la mia fortuna nella sfortuna è che sono nata così...e la mia grandissima fortuna è che nessuno in famiglia ha mai fatto pesare la mia disabilità! Sono cresciuta passando le estati in capanna sul Monte Tamaro, non sono mai stata nascosta agli altri e anche se c'era gente in paese che diceva "lei deve fare la scuola speciale"...io ho fatto tutte le scuole normali. Ho imparato ad allacciarmi le scarpe, a nuotare e ad andare in bicicletta prima di mio cugino che di mani ne ha due... Ho giocato per alcuni anni a hockey su ghiaccio...creando da zero, con delle amiche, una squadra che è durata una decina di anni...Faccio maglia, uncinetto, bricolage, cucito...ho imparato a cercare le mie tecniche per fare qualsiasi cosa...e se non ci riesco...chiedo! Non sono mai stata avvantaggiata...anche in casa mi hanno sempre fatto provare prima di darmi un aiuto!!”, prosegue.
È fiera di sé stessa, “sono caduta e mi sono rialzata... mi hanno derisa e mi sono fatta valere...mi hanno sminuita e ho raggiunto bei traguardi. Ho il mio appartimento, i miei pelosetti, le mie giornate no, quelle sì, e i viaggi. Amo viaggiare, anche se non ho la patente perché ho paura, appena posso sono in aereo...Londra è la mia seconda casa...il mondo in posto che voglio scoprire un po' alla volta. Sono indipendente e ho imparato ad essere autosufficiente”.
Non sempre è stato tutto facile. “A scuola, tra asilo e scuole medie, solo un ragazzo ha cercato di prendermi in giro...ma i miei compagni lo avevano messo subito al suo posto. Anche con lui oggi si parla serenamente dell'accaduto...sono stata fortunata! In paese coi coetanei (ma con tutti in generale) non ho mai avuto problemi di bullismo. Solo qualche genitore aveva insinuato che dovevo fare le scuole speciali, ma anche quando all'asilo feci i test per vedere se ero pronta ad andare a scuola sono stati solo la conferma che ero pronta”.
Ha praticato anche sport, “non è mai stato la mia grande passione però fin da piccola ho sempre fatto qualcosa, a quei tempi era l'atletica. Però uno dei monitore disse alla mia allenatrice che "deve andare a correre con gli andicappati" ma lei non gli dede ascolto! Poi tra le sue parole e il mio odio per la corsa piano piano lasciai. Quando giocavo a hockey, invece, ho trovato avversarie che mi rispettavano e non mi trattavano da diversa, anzi! In vita mia ho fatto un solo goal, che non dimenticherò mai, e le avversarie poi mi hanno placata in tutti i modi. La mia ultima stagione è stata pesante, ho fato tanta panchina e a fine stagioneil tecnico mi ha detto "mi dispiace ma avevo paura che ti facessi male quindi ho preferito farti fare panchina" quindi mi sono stufata. Ora non gioco più, seguo la mia squadra del cuore”.
Nel lavoro è pienamente realizzata,”ho seguito la mia formazione nella stessa azienda in cui ora faccio la formatrice. Dopo l’apprendistato ho fatto un anno di scuola a tempo pieno per la maturità professionale, e un’esperienza con un altro datore di lavoro, per poi tornare alle origini”.
I pregiudizi, purtroppo, a volte ci sono. Non ho preso la patente perché ho paura, e dunque uso i mezzi pubblici. A volte capitano incontri strani, dalla vecchietta che ti fissa il braccio di nascosto sperando che non te ne accorgi al il bimbo che chiede alla mamma perché non ho il braccio e la mamma lo zittisce. In questi casi direi a tutti i genitori di chiedere alla persona se se la sente di spiegare cosa è successo o semplicemente spiegare che non siano tutti uguali, ci sono i bianchi, i neri, i gialli, chi ha tutti gli arti e chi no, chi cammina e chi no... Ma non bisogna zittirli!”.
“Un bruttissimo episodio l'ho vissuto ad un carnevale di paese...il bimbo vestito da Zorro mi ha guardato incuriosito il braccio e ha chiesto: "nonna ma perché la signora non ha il braccio?" e la nonna ha risposto: "vedi cosa succede ad essere cattivi?”. A me le parole hanno fatto male, ma mi dispiace a di più per la pochezza della signora! Cosa ha insegnato al nipote? Ad aver paura del diverso: avrà pensato, o penserà ancora oggi, che chi ha un andicap è una persona cattiva. E invece non lo siamo, siamo come tutti gli altri...ci sono i bravi e i cattivi, i solari e gli scorbutici...”. Anzi, la sua filosofia di vita è una: “spesso il mio andicap è una difficoltà per gli altri, non per me! Io so i miei limiti, spesso ne ho meno di quelli che vedono gli altri”.