di Don Gianfranco Feliciani*
Il 3 giugno 1963 – esattamente 60 anni fa – moriva Giovanni XXIII, il papa buono. Si può senz’altro affermare che mai prima di allora la morte di un pontefice aveva suscitato una commozione così intensa e corale. Tutti, cattolici e cristiani di altre confessioni, credenti e non credenti, guardarono con affetto a colui che si era sempre rivolto al mondo con il linguaggio dell’amore. Quel linguaggio aveva fatto breccia nei cuori di tutti, anche, e forse soprattutto, nel cuore di chi si considerava “fuori” dal gregge cristiano. Papa Giovanni voleva ringiovanire la Chiesa e per questo convocò il Concilio Vaticano II. Il papa sognava una nuova primavera per la Chiesa. Quel Concilio ha significato molte cose, ma tutte in qualche modo si riassumono nella persona stessa di papa Roncalli, e in quella sua sorridente bontà che ha contrassegnato lo stile del suo pontificato e ciò che rimane della sua immagine pubblica. La sera del giorno d’inizio del Concilio – era l’11 ottobre 1062 – affacciandosi al balcone per salutare la folla, aveva detto: “Tornando a casa troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa”.
La bontà di Gesù ha ispirato tutta la sua vita. Scriveva già da ragazzo nel suo “Giornale dell’anima”, il diario a cui è stato fedele sino alla fine dei suoi giorni: “Voglio essere buono, ad ogni costo, sempre, con tutti”. E scrivendo ai suoi familiari nell’imminenza della sua ordinazione: “Non mi faccio prete per complimento, per fare quattrini, per trovare comodità, onori, piaceri, guai a me! Ma piuttosto e solo per fare del bene, in qualunque modo poi, alla povera gente”. Da papa, la bontà trovò espressione dottrinale negli atti più solenni. Memorabile è l’affermazione contenuta nella “Pacem in terris”, pubblicata poco prima della morte, e a qualche mese dalla risoluzione della grave crisi di Cuba in cui il papa buono ebbe un ruolo decisivo: “Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale-religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va considerato e trattato come si conviene a tanta dignità”.
Negli ultimi giorni, conversando con gli amici, confessava candidamente: “Pensando alla mia vita posso dire che mai mi sono fermato a raccogliere i sassi che mi furono lanciati da un lato all’altro della strada. Ho taciuto, ho perdonato, ho amato”. E nel testamento lasciò scritto: “Figlioli miei, amatevi tra voi. Cercate più quello che unisce che ciò che divide”. L’amore di Gesù è “vecchio” di venti secoli, ma quando qualcuno ha il coraggio di viverlo davvero ci appare in tutta la sua novità e il suo incanto!
*arciprete di Chiasso