di Don Gianfranco Feliciani*
Sediamo uno di fronte all’altro e discorriamo serenamente. Quasi non mi accorgo di trovarmi all’interno di un carcere. Sono passato a trovarlo per gli auguri natalizi e gli chiedo: “Cosa ti aspetti per Natale”. Mi risponde: “Mi piacerebbe poter entrare in una chiesa la Notte di Natale. Per carità, senza farmi riconoscere da nessuno, perché so che se qualcuno mi riconoscesse gli rovinerei senza dubbio l’incanto di questa Notte. Anche se a Natale tutti diventano più buoni – sorride – non credo proprio che chi mi conosce mi guarderebbe con gioia. Chi guarda a un carcerato con simpatia e fiducia? Nessuno! Al massimo ti possono guardare con un senso di pietà e di compassione, ma non certo con amicizia. Se hai sbagliato, nessuno più ti perdona”.
Cerco di rispondergli allargando il discorso: “Ma è così anche per quelli che sbagliano senza commettere reati e che, quindi, non finiscono in carcere. È così anche per tutti i cosiddetti falliti di questa nostra società. Magari sono dei falliti non perché hanno commesso del male, ma perché hanno subìto un’ingiustizia, o addirittura perché hanno avuto il coraggio di opporsi a qualcosa che ritenevano sbagliato. Possono anche essere in verità degli eroi, ma se agli occhi del mondo risultano perdenti sono considerati dei falliti e basta e, quindi, da confinare nel carcere del disprezzo e dell’indifferenza. Quanta gente ‘libera’ è relegata nel carcere della vita”.
Mi viene in mente la profezia di Isaia, fatta sua da Gesù nella sinagoga di Nazaret all’inizio della vita pubblica: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Luca 4,18-19). All’interno di un carcere queste parole di liberazione ascoltate tante volte hanno un sapore nuovo.
Mi piacerebbe per Natale, almeno per un momento, che ognuno guardasse in faccia all’altro per quello che veramente è: un essere umano, una persona, un figlio della grande famiglia umana. Dietro i nostri errori, anche quelli più gravi, c’è sempre un uomo o una donna con un cuore che batte e che chiede, anche solo inconsapevolmente, un po’ di comprensione e di affetto. Ma quel giorno gli abitanti di Nazaret non vollero accogliere il messaggio di liberazione di Gesù: “Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù” (Luca 4,29).
Signore, fa’ che non accada anche a noi… almeno in questo Natale!