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Brenno Martignoni: Eva Peron, la “Madonna dei descamisados”. Da attrice a first lady, amata e venerata dal popolo perché una di loro
"Non piangere per me, Argentina. La verità è che non ti abbandonerò mai anche se vi sarà forse più difficile vedermi. Io sono l’Argentina e lo sarò per sempre”

di Brenno Martignoni Polti

Sabato di luglio. Del 1952. Giorno 26. Spirava. Dopo agonia collettiva. Eva María Ibarguren Duarte. Più semplicemente. Evita Perón. Già in vita. Mito. Carcinoma all’utero. Cure inefficaci. Impietosa lobectomia. A quanto sembra, rifiutò l'isterectomia. Per non sminuire, forse, il proprio ruolo di "madre degli argentini". Magari, anche perché, all'inizio, convinta di diagnosi fittizia. Manovra antiperonista. Per affondarla psicologicamente. Indebolendone il carisma. Risposte sospese. Di fatto. Stroncata. A soli 33 anni. Di botto. Un intero paese. Reso orfano. Un mese di lutto nazionale. Ufficialmente, il trapasso, alle 20.25. Da quel giorno, a quell'ora. Fino alla deposizione di Juan Domingo Perón, il 23 settembre 1955, un annuncio quotidiano interrompeva i notiziari della sera. “Sono le 20:25 minuti, l'ora in cui Eva Perón è passata all'immortalità”. Alle esequie, oltre due milioni di persone. Un bagno di folla. Otto, le vittime. I feriti, 2500. Coperta di orchidee. Esposta nella capitale. In una bara di vetro. Nella sede della Confederación General del Trabajo. La camera d’ospedale, trasformata in museo. Il corpo imbalsamato. Ad opera di Pedro Ara. Medico spagnolo. Lo aveva già fatto per Lenin. Alla caduta del peronismo, la salma comincia a itinerare. Giunge in Italia. Poi, nel 1974, di nuovo in Patria. Ora, nel cimitero della Recoleta. Severissime le misure di sicurezza. Tanti i tentativi di furto. Gli omaggi. Continui. Innumerevoli. Evita nasce a Los Toldos. Provincia rurale. Il 7 maggio 1919. Donna di spettacolo. Elegante. Di fascino. Sposa del presidente. First Lady. Figlia di Juana Ibarguren. Cuoca nella tenuta di Juan Duarte. Dal quale, ebbe cinque figli. Fuori dal matrimonio. Evita cresce in ambiente umile. Gli impropri scherni per le origini. Trasfigureranno voglia irrefrenabile di ribellione. Insofferenza delle ingiustizie. Pur nei modi istintivi e con le sue peculiarità. Non disdegnava pellicce e gioielli. Vulcanica nella sua carriera di attrice, prima. Di sindacalista e di politica, poi. Il 17 ottobre 1945, la marcia dei suoi “descamisados”. I fedeli che all’estremo saluto, le tributeranno 50 milioni di garofani e 15 milioni di crisantemi. Gli stessi che avevano portato all’affermazione di Perón. Evita con lui. Interamente dedita alla cosa pubblica. Malattia e feroce opposizione, le sbarrarono la vicepresidenza. Dirompente. Per la gente. Quasi una divinità. Una leader naturale in luoghi super machisti. In alea di santità. Dalla parte dei deboli. Religiosità dei semplici. Battistrada formidabile nell’emancipazione femminile. Senza Evita, le argentine non avrebbero avuto il voto e pari diritti. Isabelita Perón, terza moglie del generale, non sarebbe mai diventata presidente. Evita non era plastica. Sentiva le folle. Sapeva trascinarle. La storia delle sue spoglie. Per i suoi detrattori, si fece incubo. Nel 2012, la memoria, fu celebrata con la stampa di 20 milioni di copie di una banconota da 100 pesos con la sua effige. Ora, a settant’anni. Una serie tivù. Dal libro che ne ripercorre le eccezionalità. “Santa Evita”. Il titolo del best-seller internazionale. Di Tomás Eloy Martínez. A farne un film. Disney plus. Il meglio del professionismo. Per una fiaba. Autentica. Da tappeto rosso.

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