"La partitocrazia, con l’intento di spianare la strada all’ accordo coloniale evitandogli lo scoglio della doppia maggioranza, vuole rimuovere gli ostacoli democratici”
di Lorenzo Quadri *
Come noto, la Commissione di politica estera del Consiglio nazionale ritiene (a maggioranza) che l’ accordo quadro istituzionale “2.0” non debba sottostare al referendum obbligatorio, ma solo a quello facoltativo. Non si tratta di lana caprina politichese. Referendum facoltativo significa che, per far votare i cittadini, qualcuno deve raccogliere 50mila firme in 100 giorni. Inoltre, a determinare l’esito del voto è solo la maggioranza del popolo. Il referendum obbligatorio implica invece che la votazione venga indetta d’ufficio e che necessiti della doppia maggioranza: popolo e Cantoni.
La partitocrazia ha dunque dimostrato di avere paura delle nostre regole democratiche. Coda di paglia? Intendiamoci: è scontato che alle urne si andrà anche con il referendum facoltativo. Che verrà ovviamente lanciato ed altrettanto ovviamente riuscirà. Tuttavia, come indicato sopra, senza referendum obbligatorio cade il requisito della maggioranza dei Cantoni.
Di conseguenza, le regioni periferiche vengono penalizzate, mentre le grandi città rossoverdi – ed euroturbo! – sono favorite; le funeste conseguenze di tale situazione sono facili da immaginare. Ma il nostro sistema democratico prevede un meccanismo di riequilibrio del peso politico tra Cantoni grandi e piccoli. A tale scopo nel Consiglio degli Stati ogni Cantone ha due rappresentanti, indipendentemente dal numero di abitanti. Anche ad una votazione fondamentale per il futuro della nazione, come il trattato di sottomissione all’UE, deve applicarsi questo meccanismo.
Del resto, per l’adesione della Svizzera allo SEE venne indetto il referendum obbligatorio. Ma la partitocrazia, con l’intento di spianare la strada all’ accordo coloniale evitandogli lo scoglio della doppia maggioranza, vuole “rimuovere gli ostacoli democratici”. Sicché argomenta goffamente il proprio njet al referendum obbligatorio nascondendosi dietro perizie giuridiche prodotte dal Dipartimento federale di giustizia targato PS (partito che addirittura vuole l’adesione all’UE).
Ma è noto a tutti che, per un avvocato che afferma una cosa, se ne trovano due pronti a sostenere l’esatto contrario. Nei mesi scorsi, esprimendosi sulla NZZ, Andreas Glaser, professore di diritto pubblico all’Università di Zurigo, ha dichiarato che, in considerazione delle sue “pesanti ripercussioni sulla nostra struttura statale” l’accordo con l’UE “deve sottostare al referendum obbligatorio”.
Di sicuro un professore universitario ha maggiore competenza ed autorevolezza dei funzionari del Dipartimento Jans. Ma soprattutto: qui non si tratta di cavillare, bensì di decidere sul futuro della Svizzera. Occorre quindi compiere una scelta politica, ed assumersene le responsabilità. Nascondersi dietro perizie giuridiche non solo è vile: equivale al rifiuto di svolgere il lavoro per cui un deputato è stato eletto.
* consigliere nazionale Lega dei Ticinesi