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Cronaca
22.09.2017 - 17:000
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

"Lisa, capisco che tu non abbia avuto scelta. Trent'anni fa portai due famiglie curde in Ticino, e non mi sono mai pentita. Mi colpì il film di Koller, di un bambino abbandonato dai passatori..."

Una giornalista, che ieri era in aula per il processo di Bosia Mirra, rievoca quando fece qualcosa di simile. "Tutti parlavano solo turco, dicemmo loro di non parlare, a una donna feci togliere il foulard. A Como ho visto tanta disperazione, spero l'assolvano, sennò si dimetterà"

BELLINZONA – Un bisnonno, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, aiutò gli ebrei francesi a scappare dalla Francia. “Ce l’abbiamo in famiglia, nel sangue”, commenta Gemma D’Urso, riferendosi anche a Lisa Bosia. “La madre di Lisa, a Cesenatico, ospitava i primi vù cumprà e i rifugiati. Questa solidarietà, questa umanità, ce l’abbiamo dentro”.

La nostra interlocutrice è giornalista, e ieri come tale ha seguito il processo alla deputata socialista, che peraltro conosce molto bene. Ad accomunarle, però, anche il passato: una trentina d’anni orsono, pure lei aiutò delle persone a entrare in Svizzera. Non se ne è mai pentita, e con emozione ci racconta di una zia materna che le fece conoscere la comunità curda in Ticino.

“Già quando lavoravo in Svizzera francese ho aiutato gli stranieri, per esempio dei turchi, per i permessi e nel campo sociale. Ma in Ticino ho avuto questo contatto con la comunità. A Lugano nel 1986 conobbi un signore curdo. Era un poliziotto in forza all’Interpool di Ankara, di etnia curda, e nel 1980 aveva partecipato al tentato colpo di stato in Turchia. Fu arrestato, e per due anni la moglie non seppe più nulla di lui. Uscito di prigione, perse l’udito da un orecchio per via delle torture subite. All’epoca c’era in Turchia un’immensa politica anti curda, aveva perso il lavoro, quando si sentì di nuovo nel mirino e rischiava di essere di nuovo arrestato, decise di scappare in Svizzera, da un cugino sposato con una ticinese. Nel frattempo, aveva avuto un secondo figlio”.

Un film cambiò il destino della famiglia: “ci trovammo al Festival del Film di Locarno, proiettarono la pellicola del regista svizzero Xavier Koller, Il viaggio della speranza, che narra la storia vera di un bambino curdo che l’ottobre dell’anno primo era morto di freddo e di stenti sul passo dello Spluga perché abbandonato lì dai passatori con la famiglia. Il mio amico voleva far venire la famiglia a Como e poi pagare un passatore, attraverso la frontiera verde. Ma rischiava molto: decisi di andare io a prenderli alla Malpensa”.

“Ho preso un rischio, consapevolmente. Mi sarei potuta rivolgere a un’associazione che si occupava dei rifugiati, ma non ci fidavamo, temevamo che la donna e i bambini sarebbero stati rispediti indietro, dato che stavano arrivando molti curdi. Allora sono andata io”, ci narra. “Alla Malpensa faticai a trovarli, non erano nell’aereo giusto. Tutti e tre parlavano solo turco, il padre aveva scritto un biglietto dicendo di tacere quando attraversavano la dogana, per non farsi scoprire. La madre, al casello, disse di star zitti ai bambini, scambiandola per la dogana… Due anni dopo, la loro richiesta d’asilo fu respinta, intervenni ancora io presso l’Ufficio dei rifugiati, per far aver loro un permesso umanitario”.

Non è stato l’unico caso. “Il padre della prima famiglia mi chiese di aiutare anche un amico, una settimana dopo. Per non dare nell’occhio, non passai da Chiasso Brogeda a da Chiasso Strada. Purtroppo quest’uomo ebbe, negli anni, un processo perché era finito in un gruppo che andava a batter cassi da curdi in Ticino per finanziare il PKK, di cui era simpatizzante. Fui chiamata a testimoniare, nessuno fu espulso per paura di incarcerazioni. Nel 2002, però gli fu rifiutata per questo la nazionalità svizzera”.

Dopo tanti anni, ha perso di vista le famiglie. Sa che la prima si è integrata al meglio, soprattutto la moglie e i figli. “Il padre invece, da poliziotto, si mise a fare l’operaio, e non visse bene il cambiamento di ruolo sociale e professionale. La coppia negli anni divorziò, purtroppo”.

Le chiediamo se in quel momento, facendo quei viaggi, aveva paura. “Non tanto, ero molto decisa. Per passare più facilmente la dogana senza che chiedessero i passaporti, in particolare con la prima famiglia, comprai delle bottiglie di vino. Un giovane doganiere chiese se avevo qualcosa da dichiarare, notò il bambino, di tre anni, che lo fissava curioso, e gli domandò conferma. Temetti che dicesse che non capiva, invece, ben istruito dalla mamma, non rispose, e io affermai che era timido. Il ritrovo col padre è stato bellissimo! La donna, non pareva curda, mentre la madre della seconda famiglia sì, dovetti farle togliere quasi a forza il foulard che portava”.

La motivazione è stata “come quella di Bosia Mirra, mi sono proposta io. Ero rimasta molto colpita dalla storia del bambino morto nella neve e nel freddo sullo Spluga, una cosa terribile. Vedendo un padre così disperato, con un gran bisogno di far venire la famiglia, mi sono offerta. Non mi sono mai pentita, mai, assolutamente. Non ho portato dei criminali”.

In aula ieri a Bellinzona al processo Bosia Mirra, le sono tornati in mente questi fatti, che comunque non aveva mai scordato. “Avevo già scritto dei pezzi su di lei, lo scorso anno sono stata a Como. Sono più che sicura che quello che ha detto ieri, ovvero di non aver mai visto tanta violenza, è verissimo. C’era tanta disperazione in quella stazione, Lisa ha raccontato cose terribili, per raccontarle bisogna viverle (sospira, ndr). Per esempio parlava di un ragazzino di 15 anni, che aveva tentato di impiccarsi, salvato, poi riportato al campo, che le disse che se non l’avrebbero portato via si sarebbe impiccato di nuovo. Lei è stata coinvolta dal punto di vista umano, capisco che non abbia avuto scelta. Ha avuto un coraggio che io non ho avuto, io in fondo non mi sono presa i rischi che ha preso lei, che ha fatto dormire anche dei minorenni a casa sua. C’è il problema dell’aspetto legale, però ha agito per motivi umanitari, e spero che il giudice ne tenga conto”.

Cosa vorrebbe dire a Lisa Bosia Mirra? “Averne di persone come lei in Ticino e in Svizzera, per questo lo scorso anno è stata premiata! Dirò di più, una mia vicina, ticinese doc, che parla quasi solo dialetto, ha commentato che se in molti fossero come Lisa l’umanità sarebbe migliore. Ci sono tanti ticinesi che la sostengono, la ammirano e condividono le sue idee, si è visto ieri. Spero sia assolta. Ha detto che se fosse confermata la condanna darà le dimissioni dal Gran Consiglio. È un’indole, pensiamo alla sua mamma…”.
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