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Cronaca
05.10.2018 - 16:000

"Un esempio negativo per le donne che vogliono uscire dalla violenza. Ma con un lavoro su sé stessi..."

La vittima del 30enne accusato di aver tentato di ucciderla cinque volte gli rimane a fianco. Le riflessione di Kathya Bonatti, "è la sindrome da crocerossina, tipica delle relazioni tossiche"

AIROLO – Pronta a restare a fianco all’uomo che è in carcere con l’accusa di aver tentato di ucciderla cinque volte, oltre che di averla sequestrata. E, pare, anche decisa e fiera, quasi pronta a sfidare il giudice e poi a riprendere una vita, addirittura sposandosi, con il suo carnefice, convinta che sia pentito e che abbia agito sotto l’influsso di sostanze stupefacenti. 

“È un amore patologico”, non ha dubbi la Life Coach Consulente in sessuologia Kathy Bonatti, che interpelliamo per parlare della vicenda. “È un esempio tossico e negativo per le donne che stanno cercando di uscire dalla violenza. Meno male se ne parla, in senso critico”.

Come giudica la vicenda?
“Vedo una dipendenza affettiva, ho scritto un libro sui partner manipolatori, che fanno passare per amore quelle che sono violenze, svalutazioni fisiche e psicologiche, denigrazioni. Le vittime, in nome dell’amore, abbassano le difese, e chiamano amore ciò che è tutt’altro. Qui c’è una persona che picchia, che è violenza, che impronta una relazione sulla violenza e sulla mancanza del rispetto: è una relazione tossica. L’amore sano fa star bene e non include la violenza. In ogni caso, mai quella fisica”.

La teoria della donna secondo cui lui era sotto l’effetto di stupefacenti e dunque non si rendeva conto di ciò che faceva ha senso o è una scusa comoda?
“Probabilmente è la motivazione pratica, la spiegazione. Ma perché lei accetta questo? La personalità delle vittime di violenza presenta scarsa stima di sé, terrore della solitudine, l’idea che la violenza sia meglio dell’abbandono. Subiscono perché non vedono via d’uscita, non sono mai state amate e dunque è normale così. Bisogna capire se la sua giustificazione a oltranza corrisponde alla realtà, se lui ha fatto un processo di disintossicazione di consapevolezza, lavorando su di sé e con la psicoterapia. A quel punto una volta uscito potrebbe non comportarsi più così ma deve aver lavorato davvero su di sé con un esperto. Sennò sono le classifiche parole dei violenti e di chi ha una dipendenza da alcool o droga che dicono ‘perdonami, scusami, non lo farò più’. La responsabilità del primo atto di violenza è di chi lo compie, del secondo di chi lo accetta”.

Con un serio lavoro il 30enne può diventare un’altra persona e dunque la loro storia può continuare in modo sereno?
“Sì ma va verificato da un esperto, non basato solo su ipotesi. L’idea di sposarsi è avventata, vanno verificate le teorie. Mi preoccupa l’ipotesi che possano avere dei figli, perché se lui non fosse cambiato saranno a loro volta vittime di una violenza assistita, magari non diretta principalmente su di loro ma a cui assistono. E se non si fosse liberato dai comportamenti violenti, potrebbe esercitarli anche sui figli. Ciò va capito e provato da esperti, non dalla speranza che il partner sia diventato amorevole”.

Da una parte può sembrare un atto di coraggio credere in un amore così, ma più che altro pare una pazzia…
“Il coraggio non lo vedo, più che tutto deve essere un dato di realtà: stai seguendo la favola del vissero felici e contenti, realizzando il mantra dell’ ‘io ti salverò’, ‘sono la crocerossina e ti salverò’, scatta la sindrome della crocerossina tipica delle dipendenze affettive. Ma va verificato se è davvero cambiato, deve effettuare una disintossicazione e entrambi devono lavorare, lui per vedere se è un’altra persona e lei per capire perché accettava le violenze”.

Se lei lo lasciasse, per lui potrebbe aprirsi, dopo il carcere, una nuova vita relazionale?
“Certo, quando si fa un percorso di psicoterapia con esperti specializzati sulle dipendenze. Più facile che riescano ad andare avanti separati e con altre persone? Dipende, se entrambi fanno questo percorso assieme potrebbe essere possibile, sempre e solo se si rivolgono a un esperto. Da sole le persone non hanno una visione obiettiva della realtà, soprattutto di fronte a situazioni di violenza e di dolore, non sanno verificare quel che sentono e com’è la relazione. La loro idea di coppia deve essere verificata nella realtà, ora è solo nella fantasia”.

Allargando il discorso a chi è in carcere ma non ha fatto del male al partner, succede spesso che chi condivide la vita non lo abbandoni? Quanta forza ci vuole?
“Per esempio se si parla di un reato finanziario non c’è violenza. Rimanere a fianco del partner è una scelta, ma se ci si ama e non c’è mancanza di rispetto è più comprensibile, può capitare a tutti di sbagliare, infatti quando ci si sposa si dice ‘nel bene e nel male’. Succede, per difficoltà finanziarie, economiche, anche tradimenti in cui si perdona. Basta che l’idea che il partner dà non sia diversa da quella che si aveva. Questo significa mettersi in gioco e crescere insieme con chi ha voglia di capire cosa è successo. Quando si lede l’integrità fisica la soglia è stata superata, è troppo grave. Non solo se fa del male al partner, anche se lo fa ad altri: pensiamo a quando si scoprire che il/la tuo/a compagno/a è un pedofilo o un assassino/a. Non è conforme ai valori di una persona. Va visto quanto il reato commesso è giustificabile nel sistema di valori dell’altro, sia un partner o dei figli. Ma una donna dovrebbe sempre rivolgersi a aiuti, per supporto legale, psicologico e pratico, per essere aiutate a vedere il perdono come qualcosa di positivo se non c’è un vero lavoro di chi ha sbagliato”.

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