MENDRISIO – Ieri è esplosa la questione della droga all’OSC di Mendrisio. Presente, da sempre? Tutti lo sapevano e nessuno lo diceva? Beh, probabile, visto che ricordo un pomeriggio in cui, passeggiando per il parco, vidi bottiglie passate dalle finestre come se nulla fosse, e si pensa ad alcuni anni fa.
Ma l’argomento ha rimesso in auge un tema a cui tengo particolarmente: lo stigma che accompagna chi purtroppo, in quella clinica o in altre simili, ci deve andare, viene portato. E lo deve nascondere, come se fosse una vergogna stare male, come se quando si va all’ospedale per un’appendicite non è normale ricevere tonnellate di auguri sui social, e qui invece bisogna soffrire e nascondersi.
Guardiamoci intorno, non siamo noi a dire che la società soffre sempre più di problemi psicologici e psichiatrici, che psicologi e psichiatri hanno le agende piene sino a scoppiare e non è moda, che gli antidepressivi e gli psicofarmaci aumentano. Chi non li assume, o conosce qualcuno che ne ha bisogno, qualcuno che sopporta per non cedere a chiedere aiuto?
Non è una colpa. Essere fragili non è una colpa, magari si è stati forti troppo a lungo. Magari è la vita stessa che ha reso così, una vita di lotta, che non soddisfa, che fa male. E quando è troppo, quando si aggiunge qualcosa che va male, da una storia d’amore alla famiglia, dal lavoro alle questioni economiche. Travolti dai problemi, non si sa con chi parlarne, in una società sempre più individualizzata. Perché quando si va a ballare, tutti sono pronti ad aggregarsi, quando si vuol parlare di un problema, nessuno ha tempo, nessuno ha voglia, tutti fuggono. Perché? Occuparsi di qualcuno, starlo a sentire, impiega tempo, coinvolge, mette a nudo debolezze e bisogno di empatia. Difficile.
E allora lasciamoli tutti soli. Chi legge inorridirà, eppure chissà quante volte lo ha fatto. Oppure gli è stato fatto. Si è trovato impreparato davanti all’ansia, all’angoscia, è scivolato nella depressione. Ha dovuto chiedere aiuto, perché la sua vita stava diventando invivibile, e ha osato cercare un supporto esterno pur vincendo la vergogna.
Io dico, vergogna di cosa? Di essere fragili? Di stare male? Di avere un disturbo psichiatrico magari dalla nascita, come avere un labbro leporino o la schiena storta? Il male è doversene vergognare. Doversi nascondere. Fa ancora più male dello star male, come un dover aver vergogna di sé stessi.
Ma chi non cede mai? Chi, davanti ai grandi salti della vita, non sente il fiato bloccarsi e le domande che non riesce a esprimersi accavallarsi sino a far ammalare? Non per tutti inseguire i propri sogni è semplice, per molti il più semplice dei traguardi è una lotta, una salita. Neppure può gioire, anzi deve sorridere come se non avesse compiuto un’impresa.
Per loro mi ribello. La testimonianza dell’ex paziente dell’OSC che ha scritto su rumors è stato elogiato per il coraggio. Quegli elogi sono solo via Internet o valgono se un vostro amico, domani, si siede di fronte a un caffè e vi dice che desidera parlarvi dei suoi problemi? A loro dico, non vergognatevi. Siete esseri fragili, sensibili, non valete affatto meno degli altri. Non meritate di aggiungere alla sofferenza che provate anche questo. Non nascondetevi. Cercate di mostrarvi con i vostri traguardi, e pazienza se qualcuno non li capirà o vorrà stigmatizzarvi: non è una persona degna. E il vento gira per tutti, prima o poi.
Non voglio entrare nel merito del tema droga. Ovvio, se ci fosse, è da stigmatizzare, quello sì. Non si scappa dai propri problemi affondando in sostanze che sembrano far dimenticare ma in realtà complicano. Ci vuole forza ad affrontare la realtà così com’è.
Se chi ha ansia, depressione, bipolarismo, psicosi, autismo, e qualsiasi altro problema, potesse dirlo, potesse essere orgoglioso di sé stesso, sono certa che diminuirebbero coloro costretti a curarsi lontano da tutti. Voi meritate di poter sorridere alla luce del sole, meritate chi vi sta a fianco con coraggio. Ed è quello che vi auguro, anime fragili o ferite.