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Cronaca
15.11.2017 - 11:270
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Lo zio di Damiano, "allibito da quelle parole, persone del genere vanno emarginate. Noi usiamo il suo ricordo affinché la tragedia possa costruire qualcosa per la società.

Don Samuele Tamagni commenta il post shock di ieri. "Questo ragazzo sa cosa è successo a Locarno, la sofferenza il dolore, le lacrime della mia famiglia e di quelle di chi ha commesso l'omicidio? I social vanno usati bene. Come fondazione, vogliamo diffondere la non violenza, in tutti i campi"

LOCARNO – Il farneticante post di ieri, che prendeva di mira Damiano Tamagni, “magnificando” uno dei suoi assassini, Marko Tomic, ha colpito tutti. Come si può, da una sconfitta calcistica, arrivare a dire una cosa del genere?

Se lo chiede anche lo zio di Damiano, Don Samuele Tamagni. “Sono sconcertato da questa frase. Mi domando come faccia una persona in una discussione calcistica dire qualcosa di simile. Allora si deve dare dell’eroe a quel tizio che ha investito lo scooterista in autostrada? Non si può dare quel titolo, ovvero considerare un eroe, una persona che ne ha uccisa un’altra ed è stata giudicata colpevole. Sono allibito, si rimane senza parole. Viene anche la rabbia, ci si chiede cosa facciano, se non si rendono conto del dolore e della mancanza di rispetto verso una famiglia. E anche alla società in generale, pensando a quello che scrive dopo. Sono frasi forti”.

La Fondazione ha preso posizione ufficialmente, decisa a difendere il concetto della non violenza. “Cerchiamo di spegnere quella che ci può essere anche nelle discussioni. Non bisogna abbassarsi a rispondere a queste cose, che molte volte sono date semplicemente dall’ignoranza e dalla poca sensibilità di certe persone. Proviamo a propagandare la non violenza su tutti i piani, non solo a livello giovanile, pensando a quel che è successo a Damiano, ma in tutti i campi”.

“I social vanno usati bene. Questi post andrebbero ignorati, si deve cercare di mettere da parte certe persone, emarginarle, in modo che non facciano ancora più danni”, aggiunge. Come associazione, si potrebbe fare qualcosa? “Bisogna capire che scrivere dietro a uno schermo è come dire qualcosa in piazza. Prova ad andare in Piazza Grande a rendere pubbliche le stesse cose! Nei social manca questo controllo. Potrebbe essere un’idea, sì, ce ne sono davvero tante da attuare. Qualche tempo fa abbiamo finanziato un progetto con l’ASPI. È una goccia nel mare, se pensiamo anche al cyberbullismo o al sexting. Al di là dei programmi, ciascuno può dare il buon esempio. La prevenzione c’è però ogni persona deve mostrare come ci si comporta, per il bene comune”.

Ma che cosa direbbe da zio di Damiano e da prete, se si trovasse di fronte quell’uomo? “Gli chiederei che cosa gli è saltato in mente, e se non sa che cosa è successo a Locarno, la sofferenza che c’è stata, le lacrime, il dolore, non solo della nostra famiglia bensì anche delle altre coinvolte. Sono passati 10 anni, che bisogno c’era di riprendere la storia in questo modo? Noi cerchiamo di utilizzare il ricordo di Damiano in modo che la tragedia possa trasformarsi in qualcosa di positivo, che possa far bene alla società ed essere costruttivo, mentre qui stanno distruggendo la società e le persone. E pure chi lo fa si rovina. Perfino come prete, ritengo che quando uno commette una sciocchezza è giusto dirglielo. Il male esiste e va chiamato col suo nome, basta tutto questo buonismo. In un caso simile si parla del vero male, quando si definisce eroe qualcuno che ha ucciso un ragazzo”.
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