BELLINZONA – In diversi, in questi giorni, hanno chiesto la mia opinione sul caso licenziamenti. Qualcuno addirittura mi ha accusato di avercela coi frontalieri, in modo così, gratuito. Ebbe, ecco cosa ne penso, io che di lavoro faccio la giornalista, dunque l’intento è informare, e coi social devo vivere e convivere, perché per lavoro sono uno strumento imprescindibile.
I casi in questione, lo ricordiamo, riguardano due italiani, una giovane donna che lavorava in una ditta di Lugano, e un uomo impiegato alla Rapelli. La prima ha pubblicato un video contro i poliziotti su Instagram, il secondo delle minacce contro gli stessi. Dopo un putiferio, entrambi hanno perso il posto di lavoro, licenziati in tronco.
Partiamo con una constatazione, banale quanto si vuole. Trovare lavoro al giorno d’oggi non è facile. Con la giovane licenziata a Lugano sono in contatto (sì, lo ammetto, mi ha cercata lei) e so che rimpiange il lavoro, che le piaceva. Per quanto concerne l’uomo di Stabio, non so quanto lo amasse. Parlava di “spaccarsi le braccia dalla mattina alla sera”, la Rapelli ha parlato di una persona irreprensibile, le voci dei colleghi non ascoltiamole perché poi è facile sparare sulla croce rossa. Però, quando un lavoro piace, si farebbe di tutto per tenerlo, perché è già difficile trovarlo, ed averne uno che piace è un qualcosa in più e non scontato.
Cosa ha portato la donna a girare quel video? Un momento di rabbia, dice lei. Le credo. Non si distrugge una carriera così per caso. La rabbia e i social. Sì, perché, non siamo ipocriti, di persone che imprecano contro gli altri automobilisti o contro i poliziotti, ce ne sono, giusto o sbagliato che sia. Ma tutto si ferma lì. Mettendolo sui social, diventa pubblico, è peggio che urlarlo in una piazza stracolma. Perché qualcuno lo può rendere pubblico, può farlo vedere a tutti, non solo agli amici degli amici. Come è successo.
La donna non pensava di perdere il posto di lavoro che tanto amava. L’ha perso, per un’ingenuità, per un momento di rabbia. Quanti rapporti si rovinano per qualcosa di detto e non pensato, oppure urlato in un momento così? Ecco, la stessa cosa. Un errore, banale, che nulla toglie al suo lavoro, alle sue capacità, che io non so se fossero buone, nella media, superiori. Ha pagato caro, e comprendo il suo dispiacere umano. Sarebbe quello di ciascuno di noi. L’ha punita l’impulsività di pubblicare, e il sistema a catena dei social l’ha condannata, non lasciando quasi altra scelta al datore di lavoro. Lo rimpiange, lo so.
Il caso del secondo per me è diverso. Perché era appena successo quello della giovane. Perché se ne era parlato. E lui aveva anche letto qualcosa in merito, lo ha confermato durante un’intervista. Allora riflettici: se lei è stata ingenua, tu sei stato poco furbo. Se sai che qualcosa ha danneggiato altri, può danneggiare anche te. Non farlo. Questa è l’aggravante, e non puoi dire che non pensavi succedesse questo casino, testuali parole, perché era capitato appena pochi giorni prima. E non vivi in un altro mondo-
Ora, che si tratti di frontalieri per me non è una discriminante. Si fosse trattato di persone residenti, avrei riportato il fatto. Senza se e senza ma. Spesso ho parlato di dumping, in Ticino. Dei loro casi io, come giornalista, sono venuta a saperlo dai social, che hanno moltiplicato l’onda dei loro post. Sarebbe successo anche se fossero stati residenti? Questo non lo so: le condivisioni non le comando certo io. Che esista una certa animosità da parte di qualcuno verso i lavoratori italiani, non è una novità. Che qualcuno sia felice di vederli licenziati, beh, i commenti lo hanno mostrato. Dunque, forse, se fossero stati residenti, il tam tam sarebbe stato meno accentuato. Quindi magari non sarebbe arrivato a me, che nonostante le antenne alzate il più possibile, posso anche lasciarmi sfuggire una notizia.
Non penso che la Polizia discrimini le auto con targhe italiane, nonostante le rimostranze di alcuni. Ho chiesto i dati, per fare un raffronto. Perché, per esempio, se le multe ad auto targate Italia fossero state, ammettiamo, il doppio, le persone a lamentarsi sarebbero state di più e aumentava la possibilità che qualcuno sbroccasse un po’ troppo forte. Non mi sono stati forniti, per cui analisi simili non mi sono al momento possibile.
La mia conclusione è: attenzione ai social. La vita si svolge anche al di fuori di essi. Ridiamo, arrabbiamoci, divertiamoci, amiamo, litighiamo, nel reale. Dove nessuno potrà condividere i nostri errori, sbatterli davanti al nostro datore di lavoro. Ci sono due persone che convivono con ingenuità che sono costate care. Dovrebbero essere un esempio su come muoversi nella rete. Per frontalieri, ticinesi, per tutti. Il punto è questo: non si è ancora capito il potere del web. Piuttosto che correre il rischio, schiviamo il fuoco. Sennò alla gogna ci andiamo volontariamente, o no?
Paola Bernasconi