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28.07.2017 - 10:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Sulla scia di Capedit. Attivissimo, "Internet e le campagne basate sui video virali sono tempeste difficilmente domabili. Per avere successo su Youtube bisogna..."

Col giornalista informatico abbiamo analizzato il fenomeno dopo il caso Verzasca. "Non ci sono soldi facili, serve talento, anche se a volte non basta. Se i giovani fanno tutto via cellulare, un domani fare pubblicità in tv potrebbe non avere più senso"

BELLINZONA – Il successo stratosferico del video creato da Marco Capedri, detto Capedit, sulla Verzasca, è stato probabilmente inaspettato anche per il giovane lombardo. A una richiesta di intervista, molto cordialmente, ci ha infatti risposto “in queste ore di sovraesposizione mediatica, chiariamo che il nostro scopo è creare video, meglio se virali”. Internet e la sua comunicazione dunque è un’arma a doppio taglio?

Ne è convinto Paolo Attivissimo, giornalista informatico.

Il video sulla Verzasca, fatto forse per divertimento, è finito addirittura sulla BBC. Il fenomeno la sorprende?
“Non più di tanto, queste cose succedono perché qualcuno fa un video, esso circola fra gli amici, uno di essi magari ha un giro di followers molto alto, lo promuove e questo fa fare il salto di qualità. Dopo di che arrivano i media. La notizia, per esempio, è uscita su The Local, un sito internazionale che fa notizie in inglesi sui paesi del mondo, penso che la BBC abbia preso spunto da lì. Il fenomeno si autoalimenta, non fa notizia il fatto che sia stato fatto il video ma che esso sia diventato famoso, dopo di che tutti si chiedono come mai lo sia e dunque vanno a vederlo, e ciò aumenta ancora la popolarità. Sono meccanismo frequentissimi nella rete”.

Una domanda che avremmo voluto porre anche a Capedit: cosa guadagnano coloro che fanno i video, se non cinque minuti di popolarità, a non essere pubblicitari di professione?
“Dipende da dove vengono pubblicati e per quale motivo vengono fatti. Se c’è un committente che vuole un video virale per promuovere qualcosa egli paga sia chi fa le riprese sia chi ha avuto l’idea. Se si raggiunge un certo numero di visualizzazioni, magari su Youtube, l’autore viene pagato. È ciò che succede coi cantanti, che monetizzano molto, pensiamo alla canzone di Fast and Furious o a Despacito, che hanno portato milioni di dollari in tasca ai creatori”.

È così che nascono per esempio le youtouber come la ticinese Shanti o le fashion blogger alla Chiara Ferragni? È la stessa cosa di chi è famoso e indossa un marchio durante una Instagram Story?
“Ci sono meccanismi di vario genere, anche la campagna di marketing tradizionale che affianca alla pubblicità tradizionale questa parte social. I pubblicitari inventano di tutto per farsi notare. A volte non c’è nulla di tutto questo, ma viene visto un video accattivante e carino, come questo sulla Val Verzasca, e il fenomeno esplode, è nata infatti una divertita polemica. Era azzeccato lo slogan, Maldive di Milano, che ha fatto discutere. Ha preso due ragazzi e due ragazzi in costume, buone riprese, un buon montaggio e una musichetta adatta, e il gioco è stato fatto”.

Cosa serve per creare un video virale e diventare famosi?
“Ci vuole talento, è difficile quantificare gli elementi che servono. Spesso sono variabili, dipende dall’oggetto da promuovere e il pubblico da coinvolgere. Al momento sto seguendo, per fare un esempio, un meme che gira su Internet dove mettono i baffi a Superman, una sciocchezza ma fa ridere: tutti la condividono, magari con una sequenza del film o Wonder Woman al suo posto. Possono essere sufficienti una battuta spiritosa, un nome azzeccato come le Maldive di Milano, un nome conosciuto, una situazione carina in cui tutti si possono identificare. Il talento sta nel scegliere gli elementi giusti per una campagna”.

Il futuro è segnato?
“Non so se è quello, di certo è un nuovo canale di comunicazione pubblicitaria. Google e Facebook hanno un fatturato pubblicitario superiore a tutte le tv e le radio, la tendenza sarà ad affiancare e a sostituire. Se soprattutto i giovani non usano più la tv tradizionale ma i canali social, i video Youtube o le condivisioni nei gruppi, tutto sul cellulare, le campagne tradizionali non avrebbero più senso. Paradossalmente potrebbero tornare di moda i cartelloni pubblicitari per strada, se la gente alza gli occhi dal telefono li vede…”

Insomma, andiamo avanti tornando anche indietro, vero?
“Quando arriva una tecnologia nuova e dirompente come la tecnologia mobile è inevitabile che qualcuno perda e qualcuno vinca. A volte si recuperano o si modificano e rendono interattive tecniche antiche”.

Sfatiamo però il mito: non basta mettersi di fronte a un cellulare e avere qualcosa di carino da dire per diventare uno youtouber, vero?
“Importante è non montarsi la testa pensando a soldi facili. È come vincere alla lotteria, molti esempi di campagna virale partono e finiscono nel dimenticatoio. A volte non è solo questione di talento ma anche di indovinare il nome giusto, la citazione che va di moda, oppure qualcuno che non c’entra nulla con la creazione iniziale la manipola e la rende popolare. Bisogna capire che cercare di fare un video virale su Youtube è una buona palestra, ma che non basta mettersi a fare quattro versi per guadagnare, per monetizzare servono centinaia di migliaia di visualizzazioni. Teniamo presente che dietro qualunque video popolare c’è un grosso lavoro, con la scena e le persone, oppure di investimento commerciale. Potrei far diventare virale un mio video, per esempio, se fosse abbastanza divertente, pagando Facebook per farlo vedere a molta gente”.

Secondo lei, in Ticino si punta abbastanza su questo nuovo modo di fare comunicazione nella pubblicità?
“È un mondo nuovo. Campagne di questo genere sono sempre un rischio, se sono orchestrate troppo a tavolino sono false e la rete non perdona. Quando ci si accorge che c’è un tentativo da parte di qualcuno di fare una campagna giovane e spontanea e poi in realtà è costruita da un’agenzia, viene stroncata subito da Internet. Si fanno degli esperimenti, ma spesso c’è riluttanza, come anche in altri settori e in altre regioni. Il Ticino è una realtà piccola numericamente, dunque ci sono due possibilità: o il video ha un grande successo e ci si trova la Verzasca invasa come in questo caso, e diventa un danno, o la campagna non ha una risonanza sufficiente perché non ci sono abbastanza persone interessate a rimpallarsela perché ha riferimenti troppo ristretti. Uno degli aspetti azzeccati del famoso video è stato rivolgersi a un pubblico vasto come quello lombardo, citando un riferimento che tutti conoscono, le Maldive, e indicando una località ben precisa come Milano, attirando dunque un pubblico non per forza ticinese ma più ampia”.

Se dovesse pubblicizzare qualcosa, si affiderebbe a questo tipo di campagna?
“Dipende cosa devo promuovere. Se vendo bottoni di jeans, è inutile fare una campagna di questo genere sperando di avere un sacco di ordini, nel turismo potrebbe interessarmi perché voglio che la gente venga nel mio ristorante o discoteca. Importante è che quello che vendo non venga stravolto dal successo. Se ho un ristorante con dodici posti, e ne arrivano 1500 al giorno, mi troverò invaso da commenti negativi su TripAdvisor. Internet è una tempesta difficilmente domabile, è sempre un rischio”.


Paola Bernasconi
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