di Pierluigi Pasi*
A volere dare credito a una notizia recentemente letta su un quotidiano ticinese – sembra rimbalzata anche sul milanese Corriere della Sera –, di questi tempi i ticinesi, talvolta con le loro famiglie, tendono a trasferirsi oltre il confine, mantenendo il loro lavoro in Ticino.
Certamente, a farli “emigrare” non è tanto il valore del nostro franco sull’euro – si sa, qui, come stanno le cose –, quanto il fatto che, in generale, i nostri salari hanno subito e stanno subendo una compressione tale per cui, per una porzione sempre maggiore di quella che un tempo era la classe media, non sono più tali da garantire quanto sapevano garantire in passato. Insomma, questi “frontalieri al contrario” sono spinti dal timore di non potere tirare a fine mese continuando a vivere nel loro Ticino oppure sono desiderosi di coronare il sogno, un tempo per i più agevolmente realizzabile, di comperarsi una casa (ovviamente a casa loro).
E allora tocca andare a vivere in Italia, dove la vita è meno cara (e le case pure), dove il salario guadagnato in Ticino permette lì una vita senza l’angoscia di non avere di che pagare le fatture e magari di realizzare, appunto, il sogno della casa.
Compressione dei salari? È certamente dovuta anche al frontalierato, quello vero, quindi alla libera circolazione delle persone. E pensare che, quando si trattò di votarla, questa libera circolazione, uno fra gli argomenti a favore che venne speso era proprio questo: «la libera circolazione sarà un’opportunità anche per noi ticinesi, perché ci permetterà di andare liberamente in Italia: si chiamano “bilaterali” apposta!».
Sicuramente non s’intendeva che avremmo potuto fare liberamente i frontalieri “al contrario”; si è voluto farci credere – e abbiamo voluto credere – che questa “bilaterale” libera circolazione ci avrebbe aperto un mercato del lavoro più vasto, quasi smisurato verso la Lombardia e il Piemonte, che al solo volerlo ci avrebbe permesso di trovare lavoro al di là del confine, ovviamente continuando a vivere agiatamente a casa nostra. Insomma, un’opportunità per tutti e alla pari fra cittadini svizzeri e cittadini dell’Unione europea. Sappiamo – e leggiamo – come è andata a finire.
*Candidato UDC al Consiglio nazionale