MILANO – Per Massimo Galli, primario infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano, i frontalieri non portano con loro elevati rischi di contagio. I timori di molti ticinesi secondo il medico sarebbero dunque infondati.
“Guardate, i frontalieri non sono un problema: hanno meno probabilità di aver avuto contatti con la zona rossa di quante ne abbia avute io. La nostra preoccupazione riguardava l'area metropolitana di Milano perché era quella dove molti dei residenti di Codogno si spostavano quotidianamente. Stando alle tante macchine targate “TI” che vedo in città e pensando agli interessi di chi vive nelle zone vicine al confine, credo che le possibilità di contagio di una persona che vive a Como siano le medesime di quelle di una che vive a Lugano”, ha detto in un’intervista a tio.ch.
A suo avviso, i pochi casi sinora registrati in Ticino significano che le misure di contenimento messe in atto anche dalla Lombardia funzionano, ritiene però che “solo la storia ci dirà quanti saranno stati, alla fine, gli individui che avranno avuto a che fare con il virus. Per ogni persona ricoverata ce ne sono potenzialmente tre che non manifestano sintomi e, quindi, non si sono mai sottoposte a un controllo”.
Per Galli, e non solo secondo lui perché questa tesi si sta sentendo sempre più spesso, il Coronavirus era nell’aria da tempo. “Credo che il virus sia passato dagli animali all'uomo a ottobre-novembre e che per tutta la prima fase sia cambiato poco e abbia avuto un basso potere infettivo. Nel momento in cui ha iniziato a mutare velocemente, ha poi cominciato a essere trasmesso con efficacia. Questo è accaduto, a parer mio, già a dicembre”. Dunque, ben prima che la Cina rendesse nota al mondo l’esistenza del Coronavirus. Tra l’altro nel Lodigiano, focolaio lombardo, si sono manifestate polmoniti anomale già alla fine del 2019.