Economia
23.05.2018 - 11:590
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
Masoni non le manda a dire, "affermare che l'economia ticinese è in crescita dà fastidio a una parte del mondo politico e dell'opinione pubblica. La moda è amata e odiata. E su Plein..."
"Dire che si creano più posti di lavoro di quanti se ne perdano sembra un reato politico, nella migliore delle ipotesi una mancanza di riguardo verso chi ha perso il lavoro", ha detto ieri al LAC l'ex Ministra. "Le regole vanno rispettate, anche quelle che non ci piacciono. Plein non è un nostro associato"
BELLINZONA – Gli sgravi fiscali erano necessari ma quelli votati non sono sufficienti. Il settore della moda è fra quelli più importanti in Ticino, ma nonostante tutto è amato e odiato. E anche chi vi opera deve attenersi alle regole, Plein compreso.
Marina Masoni ieri ha parlato al LAC all’assemblea di TicinoModa, e non ha risparmiato qualche bordata.
“Non finiremo mai di stupirci per quanto accade in questa stagione politica. I numeri della nostra economia sono complessivamente di segno positivo, ma questo sembra dare fastidio, sembra disturbare una parte del mondo politico e dell’opinione pubblica”, esordisce. “Affermare che l’economia ticinese cresce, attira e fa nascere nuove imprese, crea molti più posti di lavoro di quanti ne vengano soppressi nelle aziende in difficoltà (ce ne sono naturalmente), affermare questo viene considerato quasi un reato politico, nella migliore delle ipotesi una mancanza di riguardo verso le persone che hanno perso il lavoro e non riescono a ricollocarsi o verso le piccole imprese che devono confrontarsi con la concorrenza molto pressante di chi viene da fuori confine. Qua e là fa capolino la convinzione che i meriti, l’impegno, le capacità, i successi degli uni siano addirittura la causa dei mali e delle difficoltà degli altri. Sono segnali preoccupanti di un malessere difficile da interpretare, sulle cui cause potremmo soffermarci molto a lungo, e di una sfiducia – non sappiamo bene quanto diffusa – verso l’economia di mercato”.
Fino a qualche anno fa, dice, l’insediamento di una nuova azienda, oggi capita invece che qualcuno accolga come una notizia positiva la partenza dal Ticino di una grande azienda, vista come un togliere dal nostro territorio un elemento estraneo, di disturbo”.
La moda, poi. “La nostra associazione da sola rappresenta 31 aziende che impiegano 6.000 collaboratori su un totale di 8.000 ed è tra i primi contribuenti del Cantone”, sottolinea. “È essenziale in un territorio di piccole dimensioni come il Ticino, in un’economia di frontiera incuneata in una regione – la Lombardia – che è una potenza economica nel contesto delle regioni europee. Spesso in passato gli analisti e gli economisti avevano indicato nella monocultura finanziaria un fattore di rischio o di fragilità per il Ticino”. Ma è un settore, e lo sa, amato e odiato, e dunque “dobbiamo promuovere linee di comportamento corrette, che ci facciano piuttosto amare che odiare, o almeno che ci facciano rispettare come aziende serie”.
Il caso Plein non è piaciuto a Marina Masoni. “Per la nostra associazione è scontato che questo debba avvenire rispettando le regole, appunto, del gioco. E qui permettetemi una breve digressione sul recente episodio che ha innescato discussioni e polemiche delle quali avremmo tutti fatto volentieri a meno: è il caso Philipp Plein. Non è e non è mai stato un nostro associato. Non spetta a noi né accertare né giudicare cosa sia effettivamente successo nella sede di Lugano dell’azienda. La reazione e le dichiarazioni fatte pubblicamente dall’interessato non possono però trovare la nostra approvazione. Le regole vanno rispettate, anche tutte quelle stabilite dalla legislazione sul lavoro. Nella nostra democrazia possiamo, e in una certa misura dobbiamo, impegnarci per cambiare le normative inadeguate, superate o eccessivamente burocratiche. Ma finché sono in vigore, finché non vengono democraticamente cambiate, le regole vanno rispettate. Anche se e quando non ci piacciono. Ci sono norme per certi aspetti rigide: ma la capacità imprenditoriale consiste anche nel ritagliarsi la necessaria e sufficiente flessibilità all’interno, non al di fuori, di queste regole. Non si può fare ciò che si vuole”.
Per quanto concerne la fiscalità,” il Ticino è rimasto fermo per troppi anni sul fronte del riformismo fiscale. L’ultimo cambiamento sostanziale era entrato in vigore nel 2003 (sono dunque passati 15 anni), in concomitanza con il passaggio dalla tassazione biennale a quella annuale per le persone fisiche. Qualcosa si è mosso quest’anno con l’approvazione in votazione popolare della riforma denominata “fiscale e sociale”. È stata un’approvazione con uno scarto minimo per un pacchetto di una modestia disarmante e che presentava e presenta tasselli poco soddisfacenti. La situazione si è comunque sbloccata. Decisamente positivo è il primo passo di diminuzione delle aliquote fiscali sulla sostanza e sul capitale”. Non basta, e per Masoni, dato che è praticamente impossibile far accettare in un colpo solo diverse modifiche, si dovrà procedere passo dopo passo nei prossimi anni alla diminuzione dell’aliquota sugli utili delle persone giuridiche.