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16.08.2017 - 09:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Merlini dice no a Previdenza 2020. "L'alleanza di centro sinistra ha trasformato la riforma in una farsa assai costosa"

"Con i 70 franchi in più per compensare la riduzione del tasso minimo di conversione e l'aumento del tetto della somma delle rendite per i coniugi, saranno perdenti i giovani di oggi e di domani, gli attuali pensionati e le donne", è convinto il liberale

di Giovanni Merlini*

Lo si sa: nei prossimi anni il fondo di compensazione AVS si troverà confrontato con problemi strutturali sempre più assillanti. Entro il 2040 il numero dei pensionati raggiungerà i 2,6 milioni (rispetto all’1,5 milioni del 2015) mentre il numero dei giovani con età fino ai 19 anni crescerà poco, da 1,7 a 1,9 milioni.

Se quando fu introdotta l’AVS nel 1948 vi erano ancora 6,5 persone attive che finanziavano una rendita, nel 2035 – quando sarà in pensione la generazione del boom delle nascite – ve ne saranno soltanto 2,3.

Già nel 2015 venivano versate più rendite di quante ne fossero finanziate dalle persone attive e dalla Confederazione: è il risultato dell’evoluzione demografica e dell’invecchiamento della popolazione.

Ma anche la previdenza professionale è sotto pressione. Il capitale di vecchiaia accumulato non basta più a garantire l’attuale livello delle rendite, non solo a causa dell’aspettativa di vita, ma anche per la scarsa redditività del mercato dei capitali, che mette in difficoltà le casse pensioni. Le quali sono sempre più spesso costrette a far capo ai contributi versati da chi ha un’attività lucrativa per poter continuare a versare le rendite ai pensionati: una ridistribuzione miliardaria insana e contraria al sistema di capitalizzazione tipico della previdenza professionale, secondo cui ognuno dovrebbe poter costituire durante gli anni lavorativi il suo proprio avere di vecchiaia. Di qui la necessità di correre ai ripari, riducendo gradualmente il tasso minimo di conversione.

Secondo il Consiglio Federale l’obbiettivo della Riforma della previdenza 2020 dovrebbe pertanto consistere nella stabilizzazione finanziaria a medio-lungo termine dell’intero sistema, per renderlo durevolmente sostenibile. Peccato che l’esito delle deliberazioni parlamentari disattende clamorosamente questa promessa. Invece di consolidare l’impianto previdenziale in vista degli sviluppi sfavorevoli appena ricordati, l’alleanza di centro-sinistra impostasi per un solo voto ha optato a favore dell’estensione delle prestazioni, incurante dell’onere che graverà sulle future generazioni. 

E così la riforma si è trasformata in una farsa, per altro assai costosa. Con il pretesto di “compensare” la riduzione del tasso minimo di conversione si è deciso l’aumento di CHF 70.- mensili della rendita individuale AVS (l’importo max. passerebbe da CHF 2'350 a 2'420) per coloro che andranno in pensione dal 2018: donne e uomini, ricchi e poveri. Un’esemplare icona di socialità ad innaffiatoio.

Ma non bastava. Si è aumentato anche il tetto della somma delle rendite di vecchiaia per i coniugi (dal 150% al 155% dell’importo massimo della rendita individuale: da CHF 3'525.- a 3'751.-). Risultato: già fra 12 anni il maggior onere per l’AVS di 1,4 miliardi vanificherebbe ampiamente il sacrificio richiesto alle donne con l’aumento di un anno dell’età di pensionamento (1,2 miliardi di minor onere). A dispetto del minor introito di ca. 700 milioni annui per la Confederazione e dei maggiori costi per ca. 5,4 miliardi a carico dei consumatori a causa dell’aumento dell’IVA (+ 0,6%) come pure dei dipendenti e dei datori di lavoro per l’incremento dei prelievi sui salari (+ 0,3% dal 2021) nonché degli stessi pensionati ancora parzialmente attivi per l’abolizione della franchigia annua, la manovra non riuscirebbe a scongiurare la voragine di oltre 7 miliardi all’anno che si prospetta entro il 2035.

Perdenti i giovani di oggi e di domani, gli attuali pensionati - che oltre alla beffa (non ricevono l’aumento di CHF 70.-) sopportano i danni legati ad un capitale di vecchiaia spesso modesto per le lacune contributive (la LPP è entrata in vigore solo nel 1985) e cionondimeno dovranno far fronte all’aumento dell’IVA - e infine anche le donne per le ragioni ricordate sopra. La “compensazione” della riduzione del tasso minimo di conversione con l’estensione delle prestazioni AVS, oltre ad essere inopportuna, ha assunto connotazioni ideologiche. Infatti, coloro che fanno parte della generazione transitoria (tra i 45 ed i 65 anni) e sono assicurati solo per la parte obbligatoria della previdenza professionale non saranno penalizzati dal tasso di conversione ridotto, essendo salvaguardati i loro diritti acquisiti grazie ai versamenti compensatori dal fondo di garanzia. E semmai, invece di mescolare AVS e LPP, andavano accolte le proposte tese a rafforzare il secondo pilastro, come p.es. quella di abolire la deduzione di coordinamento per la determinazione del salario assicurato sul quale si calcolano i contributi paritetici, allo scopo di incrementare l’avere di vecchiaia soprattutto di coloro che lavorano a tempo parziale e hanno più di un’occupazione (spesso donne).

Mi auguro quindi che il prossimo 24 settembre popolo e cantoni respingano questa pseudoriforma, evitando di pregiudicare l’equilibrio del sistema previdenziale svizzero dei tre pilastri: un impianto ben collaudato che va preservato anche nei prossimi decenni, senza compromettere il patto intergenerazionale.

*Consigliere Nazionale PLR
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