Economia
19.12.2017 - 19:380
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
"Vale la pena, per dare una lezione alla RSI, causare oltre 1100 disoccupati e far salire i costi sociali?". "Se vince No Billag, addio alla Palmira e alle storie con Mariuccia Medici"
Manifestazione oggi organizzata dal Sindacato dei Mass Media a Comano. "A perdere il posto sarebbero colleghi di 60 professioni diversi, a cui l'economia della Svizzera Italiana non è in grado di offrire un'occupazione alternativa. Non colpiteci col vostro voto"
COMANO – Syndicom, il sindacato dei mass media, ha manifestato davanti alla RSI, facendo ciò che, dice, non avrebbe mai creduto di dover fare.
Gli interventi a favore del servizio pubblico e contro No Billag è lungo e accorato, un appello quasi disperato a salvare la realtà che sta dentro gli studi di Besso e Comano. “Siamo qui per difendere l’esistenza di un patrimonio comune, di un bene di cui ogni paese libero è dotato, e che considera elemento centrale della propria identità, nonché strumento di coesione nazionale: la radiotelevisione di servizio pubblico. Per ragioni difficilmente comprensibili è proprio la Svizzera, paese che forse più di ogni altro è basato su una convivenza non facile, che va continuamente ridefinita e ricostruita, il primo paese al mondo a mettere in discussione l’utilità e l’importanza di uno strumento che altri popoli difendono gelosamente”.
Ha parlato, come lavoratore, per esempio, anche Olmo Cerri, regista e membro di comitato di AFAT, Associazione Film Audiovisivo Ticino. “Io sono un lavoratore dell’audiovisivo indipendente, ho fatto le mie formazioni in Ticino e proprio qui tutti i giorni lavoro. E non sono il solo. In Ticino siamo diverse centinaia, uomini e donne, giovani e meno giovani, e se dovesse passare l’iniziativa No Billag, dalle conseguenze imprevedibili, saremmo probabilmente tutti disoccupati. Ogni giorno, con tanta passione, cerchiamo di produrre film e documentari”, ha detto. “Se passasse la "No Billag" vorrebbe dire condannare a morte non solo le radio e le televisioni svizzere, ma tutta la filiera dell’audiovisivo. Non ci sarebbero i Frontaliers e la Palmira, non ci sarebbe le serie TV, non avremmo storie che partono da Mariuccia Medici e arrivano al Bussenghi da raccontare, non ci sarebbe Sinestesia, non ci sarebbe Tutti giù, non ci sarebbe Non ho l’età, non ci sarebbe la mia vita da Zucchina e centinaia di altri titoli. Anche il Festival di Locarno subirebbe un duro colpo e così le scuola di cinema e tutte le istituzioni culturali e sociali legate, e non legate, alla filiera dell’audiovisivo”.
Il sindacalista Graziano Pestoni ha fatto notare come, oltre alla soppressione del servizio pubblico, “a fine 2018 la SSR dovrà chiudere, perché non avrà più un centesimo. Sarebbe una vera catastrofe. Sarebbe la fine di un’informazione locale, svizzera e internazionale assai equilibrata, la fine degli aiuti al mondo del cinema, la fine degli aiuti alle radio-orchestre.E, non da ultimo, la soppressione di migliaia di posti di lavoro qualificati”.
L’eventuale disoccupazione è stata ovviamente toccata anche dall’appello firmato dal sindacato. “Solo qui, a Comano (e a Besso), oltre1100 colleghi e colleghe perderanno il proprio posto di lavoro, e numerose aziende private perderanno il loro più importante cliente. Redattori e redattrici, animatori, cameramen, autisti, tecnici, programmisti musicali, pittori, sarte, falegnami, registi, scenografi, segretarie, assistenti, impiegati e altri lavoratori di ben 60 professioni diverse, che non hanno altro torto se non quello di fare onestamente e seriamente il proprio lavoro per un giusto compenso, vedranno cambiare drasticamente la loro vita e quella delle loro famiglie. L’economia della Svizzera italiana non è in grado di offrire un’occupazione alternativa a queste persone. Il loro destino, il nostro destino, sarebbe la disoccupazione. Va detto forte e chiaro, senza se e senza ma. Nessun piano B è possibile. Chi sostiene il contrario dovrebbe presentare proposte credibili, che finora non si sono viste. E se anche un piano B fosse immaginabile, potrebbe al massimo ridare lavoro ad una minima parte delle persone licenziate”. Con la conseguente salita dei costi sociali, dato che lo Stato dovrebbe pagare loro la disoccupazione, e 200 milioni in meno spesi dai lavoratori in vari settori.
La domanda cruciale è una: “vale la pena rischiare di provocare tutto questo solo per dare, come dicono alcuni, “una lezione” alla RSI?”. Il sindacato ammette di avere a volte qualche contrasto con l’emittente, come è normale che sia, ma “sarebbe un gesto sciagurato quello di distruggere un bene comune,solo perché qualche aspetto del suo operato non ci aggrada. Criticare è lecito, ma non lo si può certo fare con una RSI che non esiste più”.
“Non colpiteci con il vostro voto. Non fate un torto a voi stessi”, è la richiesta finale.